Dal coraggio dei bambini dirottati, una lezione per tutti

Dal coraggio dei bambini dirottati, una lezione per tutti

Il male c’è, è tra noi, esplode, si maschera e poi esplode, non ha colore, non ha nazionalità, nasce dal malessere, dalle sofferenze più remote, dalle frustrazioni più banali. Come possiamo difenderci?

L’antidoto – lo hanno dimostrato ieri i fatti di Milano – è la tenuta del sistema, educare i ragazzi a non avere paura, avere forze dell’ordine preparate, insegnanti consapevoli, magistrati che sanno ricostruire i fatti e leggere le connessioni. 

“Se quei bambini sono salvi, lo dobbiamo al coraggio dei carabinieri di Sano Donato”, il capo della Procura di Milano Francesco Greco, durante la conferenza stampa sul dirottamento del bus, si esprime con grande serietà. “I militari hanno compiuto un’operazione che vediamo nei film: hanno preso la decisione di intervenire e di estrarre i bambini”.

Quell’uomo, ha aggiunto Greco, “stava per dare fuoco al bus. L’intento stragista era già partito quando sono intervenuti i militari. L’uomo voleva compiere un gesto eclatante, voleva far parlare in tutto il mondo del suo gesto”. “La cosa importante è la felice risoluzione di un evento, che poteva portare a un epilogo tragico, grazie al coraggio dei ragazzi che sono stati veramente bravi”, ha detto Luca De Marchis comandante provinciale dei Carabinieri di Milano.

Una cosa è certa, ieri si è sfiorata la strage: Ousseynou Sy, con un gesto premeditato, ha dirottato lo scuolabus che stava guidando, con i 51 studenti di seconda media che stava conducendo dalla palestra di Crema alla scuola, dirigendosi lungo la Paulesse verso Milano. Un tratto di strada a quell’ora molto trafficato, tenendo in ostaggio alunni e docenti per quasi un’ora. 

La ricostruzione fatta a valle dell’accaduto dai carabinieri rivela una sequenza di gesti di coraggio che hanno reso possibile l’esito positivo della vicenda. La compostezza dei ragazzi e degli insegnanti, che riescono a mantenere la calma in momenti davvero terribili, alcuni ragazzi coraggiosi che nascondono un telefono e chiamano i genitori riuscendo persino a dare le coordinate di dove sono, l’intervento senza indugio dei carabinieri locali che affiancano, speronano e liberano i ragazzi facendoli uscire da un varco aperto nella parte posteriore del pullman, liberandoli dall’incendio che il guidatore ha appiccato in un ultimo e inutile tentativo di provocare morti e feriti.

Il dirottatore voleva fare sapere a tutti la sua rabbia e il suo malessere, reagire alle stragi del Mediterraneo, così riportano stralci dei primi interrogatori, così raccontano, con lucidità da adulti i ragazzi del pullman appena liberati. 

I fatti di Milano appaiono particolarmente inquietanti perché hanno riguardato dei ragazzi così giovani, nell’orario scolastico e dunque nel tempo in cui i genitori li affidano con serenità a strutture pubbliche. Ci sarà da capire se Ousseynou Sy avesse i requisiti per guidare uno scuolabus, quanto fosse affidabile l’agenzia di trasporto, perché non fossero a conoscenza di precedenti penali a carico dell’autista. Non sempre, come sappiamo, c’è attenzione al personale, anche quando deve gestire relazioni con minori. Ovviamente c’è poi la responsabilità penale, individuale, di un uomo che per ragioni che la procura esaminerà, ha deciso di rispondere con un gesto violento al suo malessere. Non ha giustificazione il male, soprattutto quando si leva verso il debole e l’innocente, e si esprime nella sua banalità. È evidente, d’altro canto, che il clima politico di odio e contrapposizione che è stato alimentato in questi mesi, possa fare da detonatore di gesti estremi. Così vediamo moltiplicarsi gesti di razzismo verso lo sconosciuto, colpevole solo di avere la pelle di un altro colore, il velo in testa, un accento diverso dal nostro. Così, in questo caso, vediamo sovrapporre nella testa del dirottatore, le morti di bambini nel Mediterraneo con le vite di ragazzini italiani, molti dei quali di origine immigrata. Un cortocircuito pericoloso e perverso. È su questo disagio che dobbiamo lavorare. Non possiamo, a nostra volta, buttare benzina sul fuoco. 

L’esito positivo di questa vicenda, che ha riportato i ragazzi tra le braccia dei loro genitori, dovrebbe oggi spingerci come società civile a un impegno più coraggioso. Il male ci riguarda, non ci salviamo enfatizzando questo o quel carattere, “era cittadino italiano ma di origine senegalese”. È solo un modo molto ingenuo e stupido di fuggire dal male. Il malessere di questi mesi ce lo abbiamo dentro tutti, è quello il primo nostro nemico, non ha nome e non ha volto. L’antidoto è il coraggio di Samir, ragazzino tanto esile quanto temerario, che per primo ha dato l’allarme, sfidando età, timidezza e paura. 

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