Linguaggi nuovi per una comunicazione civile
Le donne che sanno stare al loro posto non sono quelle che stanno un passo indietro rispetto a un uomo; quelle che gli correggono pazientemente testi pieni di refusi, senza aspettarsi alcun riconoscimento, dando forma ai loro pensieri confusi; quelle che scompaiono dopo avere preparato una cena, per non disturbare discorsi d’affari; quelle che si affrettano gentili a soccorrere un capufficio, un amministratore delegato, persino un sacerdote o un vescovo, oltre l’orario di lavoro; quelle che hanno una buona intuizione scientifica ma poi la cedono al loro capo, che magari di buone idee ne ha avute poche; quelle che stanno su un palcoscenico, belle e mute, perché è la loro sola bellezza che deve parlare, mentre il presentatore maschio si pavoneggia con le loro piume; quelle che sono riconosciute tra le più grandi astronaute sulla piazza ma che vengono superate dai colleghi meno titolati. Le donne che sanno stare al loro posto non sono quelle che abbassano gli occhi di fronte a una battuta sessista, perché tanto così va il mondo; non sono quelle che devono nascondere pensieri, talenti, competenze, perché fingere di essere un po’ più stupide della media, consente di vivere più serenamente; non sono quelle che scelgono di lasciare il lavoro per la famiglia (perché i figli, perché il marito..) e magari chiudono nel cassetto una laurea, perché tanto l’hanno presa per loro cultura personale. Così le convincono a pensare. No, le donne che sanno stare al loro posto, sono quelle che cercano il loro posto nel mondo, il motivo per cui sono nate, il loro demone nascosto. Ne parla Lella Costa, nel suo ultimo libro “Ciò che possiamo fare” (I Solferini, 2019), biografia singolare di Edith Stein. Ebrea, filosofa, suora di clausura, morta in campo di concentramento ad Auschwitz, una dei quattro santi protettori d’Europa. Ribelle e testarda, Edith ha voluto trovare il suo posto nel mondo e lasciarci un segno. Una carriera brillante davanti a sé - giovane assistente del potente Husserl - comincia presto a soffrire una devozione senza libertà, una dedizione senza reciprocità. E decide di lasciarlo: “Non posso tollerare di essere al servizio di qualcuno – scrive - Posso mettermi al servizio di qualcosa, e posso fare qualunque cosa per amore di qualcuno, ma non posso mettermi al servizio di una persona: non posso obbedire”. Anche per questo, Edith resterà fuori dall’insegnamento in quanto donna, pur essendo la più preparata. Quanta inutile perdita di energia, ogni volta che una donna di talento non raggiunge il posto che le spetta, ogni volta che in un convegno intervengono tutti uomini, senza neppure sentire che manca una parola cruciale, ogni volta che a una donna viene preferito un collega in quanto maschio, che le viene stroncata una ricerca, una carriera, l’espressione della sua creatività. Non è solo lei a perderci, ma è il mondo, il pianeta, la comunità umana. Donne che sanno stare al proprio posto: quelle che non sanno stare a lungo nel posto che altri hanno pensato per loro.