E se il pianeta lo salvassero i disimpegnati?

Elena Granata, Teatro Franco Parenti TEDxMilano

Dobbiamo accrescere la consapevolezza della crisi climatica, dobbiamo informare, dobbiamo sensibilizzare, dobbiamo rendere coscienti…dobbiamo, quante volte lo sentiamo dire. Anche con le più serie e profonde intenzioni! Siamo cresciuti con il mito della consapevolezza.Nel lavoro, nella scuola, nell’amicizia, in amore, dobbiamo essere consapevoli. Persino quando acquistiamo qualcosa dobbiamo essere “consumatori consapevoli”.La consapevolezza è uno dei pilastri su cui si fonda la nostra educazione. Anche l’ambientalismo si è finora nutrito di questo precetto morale: il mondo lo salvano persone consapevoli, razionali, capaci di vedere prima degli altri, di cambiare stile di vita. Di andare in direzione opposta e contraria.Pochi che devono indurre i tanti a cambiare, convincendo questi tanti che sono in errore, che devono cambiare verso e convertirsi. Infatti, parliamo, di “conversione ecologica”. Quanto siamo tutti Manzoniani! Sempre quella benedetta notte dell’Innominato.

Ma essere consapevoli è davvero sempre un valore?

No. Questa volta la consapevolezza non ci sarà d’aiuto.Non abbiamo tempo, non possiamo aspettare che tutti si convincano.Serve un salto quantico, serve la mobilitazione delle moltitudini. Sembra un paradosso ma non è così.Se vogliamo salvare il pianeta dovremo farlo coinvolgendo nell’azione i disimpegnati. E dico azione… non comprensione.Perché l’homo SAPIENS, quello che sa, non è l’homo AGENS, quello che agisce. Non basta più l’azione consapevole di pochi, serve l’azione inconsapevole di tutti.

Siamo nel 1903. John Muir è stato uno dei più grandi naturalisti e filosofi americani. Colto, saggio, amante della natura, consapevole di quanto fosse necessaria la sua salvaguardia. Per anni aveva cercato di spiegare al Presidente Theodore Roosevelt (1901-09) quanto fosse necessario un impegno più radicale. Ma senza successo.Ma è lo stesso Roosevelt a ricordare nella sua biografia, che cosa lo convinse.Una notte da campeggiatori improvvisati che passarono insieme nella foresta!I due amici rimasero svegli fino a tarda notte a discutere accanto al fuoco dell’importanza di salvaguardare la natura selvaggia. L’esperienza e le conversazioni toccarono Roosevelt nel profondo. Tre anni dopo egli approvò l’atto di tutela di quei parchi sotto il governo federale (Yosemite Recession Bill, 1906)Oggi non avremmo i parchi nazionali e le enormi riserve forestali senza quella notte in tenda.L’esperienza è decisiva perché segna il passaggio dall’astrazione di una cosa sentita in un racconto all’esperienza personale.Qualche decennio dopo Francesco Bergoglio si è trovato in modo altrettanto singolare nella foresta amazzonica. Gli amici dicono di lui che non avesse prima un’anima ambientalista. Lì in pochi giorni è maturata il suo impegno militante in difesa della natura, del grido della terra, in difesa delle popolazioni indigene.

Che cosa voglio dire?Siamo molto meno ragionevoli di quello che pensiamo e la nostra ragione non è sempre il principale strumento che ci porta a risolvere i nostri problemi. Ce lo dice l’economia comportamentale, la psicologia sociale, le neuroscienze: l’uomo capace di scelte, razionali e logiche è spesso un’immagine mitologica. In particolare, i neurobiologi (dall’inizio del Novecento) hanno studiato come una gran parte delle decisioni importanti che prendiamo può procedere senza consapevolezza.

Conoscere una cosa, avere informazione dettagliate, non basta.

La gravità e la rilevanza dei numeri, né la coscienza che una cosa è giusta, e neppure il senso di colpa, ci inducono a cambiare. Non decidiamo di smettere di mangiare carne dopo avere visto le condizioni di vita degli animali da macello.Tutte queste cose ci sconvolgono ma non ci fanno cambiare stile di vita. Il nostro sistema di allarme neuronale non reagisce infatti a stimoli troppo astratti.

E poi l’homo sapiens (che non è agens, è disimpegnato) ha molti altri difetti. Siamo pigri, amiamo le abitudini, procrastiniamo le decisioni, siamo inclini a fare quello che fanno gli altri. Ci costa fatica capire e fatica a cambiare. Ma questa resistenza non ha un fondamento solido.Siamo animali un po' stupidi e abbiamo bisogno di spinte gentili (direbbe il premio Nobel per l’economia Richard Thaler, teorico del Nudge). Se la scelta è facile da capire, accessibile e soprattutto piacevole e divertente non incontra ostacoli. In Austria la donazione degli organi è al 99% mentre in Germania al 12%. Per pigrizia. In Germania devi compilare un modulo e dichiarare di essere disponibile, in Austria è un’opzione di default. Siamo anche conformisti. Troviamo conforto (dice Cass Sunstein) nelle norme sociali che ci aiutano a fare quello che vorremmo fare ma non abbiamo il coraggio di iniziare da soli. Indossiamo le norme e i divieti come un casco che ci protegge da noi stessi. Pensate al divieto di fumare nei locali, alla cintura di sicurezza in auto, al casco in moto o in bicicletta. Siamo benevoli con le omissioni. Il nostro cervello tende a condannare i gesti negativi e a perdonare le omissioni. Se un imprenditore sversa rifiuti tossici in un fiume è deprecabile, se il sindaco di una grande città non fa nulla per la qualità dell’aria della città, e non si prende cura degli effetti su salute, qualità di vita, disagio mentale, il nostro cervello lo assolve! Pigri- conformisti- benevoli con quello che non facciamo!

Quello che NON facciamo collettivamente, NON è oggetto della nostra attenzione. Perché ci richiede di andare contro la nostra natura umana, di fare autosovversione.Per questo motivo dovremo impegnare la nostra intelligenza a plasmare “in modo ecologico” i luoghi dove le persone vivono, consumano, lavorano, si muovono. Le città sono il posto giusto dove orientare i comportamenti di migliaia di persone contemporaneamente. Perché sia facile, a portata di tutti e socialmente desiderabile!

Si può lavorare sui tempi e gli spazi di vita. In Svezia a Vaxjo quando nevica vengono pulite prima le piste ciclabili che le strade per le auto; in Inghilterra ci sono 500 strade coinvolte dal progetto Playing Out (giocare all’aperto) consente alle famiglie di giocare in strada con i figli, chiudendo temporaneamente le strade al traffico, con periodicità.A Pontevedra in Spagna il sindaco ha da anni chiuso la città alle auto… e sono sopravvissuti! Sono decisioni politiche.Si può lavorare sui consumi, in Svizzera sono sempre più diffuse le lavatrici di condominio, in Inghilterra la bolletta ti avvisa se consumi più del tuo vicinato.Si può lavorare sulle abitudini. Non tutti quelli che acquistano cibo a km zero, direttamente dal web, sono mossi dalla salvezza del pianeta ma sono interessati alla loro salute. [Qualcuno di noi trova divertente l’idea di regalare un albero in Etiopia al nipotino per Natale, sostenendo il lavoro di un contadino che mai conoscerà].

La crisi ecologica, dice Amitav Ghosh, è soprattutto una crisi culturale e dell’immaginazione: dobbiamo continuare a pensare che le cose possano cambiare, anche radicalmente. Anche subito.Attivare i disimpegnati, coinvolgere le persone in esperienze emozionali, moltiplicare le occasioni in cui fare azioni ecologiche. Agire è il solo antidoto verso l’eco-ansia che è in aumento soprattutto tra i giovanissimi. È urgente che tutte le città si dotino di Placemaker. Unità di Designer delle scelte ecologiche che si concentrino su quello che “non facciamo” e che potremmo fare collettivamente, sugli effetti moltiplicatori delle azioni, sugli impatti delle scelte.E non su quello che non sappiamo!

Oppure non ci resta che il piano B.Dovrò passare una notte in tenda, in campeggio, con Mario Draghi!

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