Elena Granata: “Basta sentimentalismi all’italiana: alcuni paesi non possono rinascere”

Paesi che potrebbero rinascere, paesi che rischiano di rimanere esattamente come sono e in mezzo la solita critica a un sistema che nel corso degli anni non è riuscito a fornire risposte contro l’abbandono e lo spopolamento di interi territori, specialmente quelli delle aree interne. Eppure sul fatto che un finanziamento possa risultare la panacea di tutti i mali sono in molti a dubitare. Per comprendere il punto di vista di chi di luoghi se ne intende abbiamo dialogato con Elena Granata, professoressa di Urbanistica presso il Dipartimento di Architettura e Studi urbani del Politecnico di Milano, vicepresidente della Scuola di Economia Civile e autrice di Placemaker – Gli inventori dei luoghi che abiteremo, Einaudi.  Elena Granata, parliamo di paesi, o di borghi se preferisce. Quelli che si vuole far rinascere: operazione di maquillage oppure qualcosa si può davvero realizzare?Penso che abbiamo un problema sentimentale: pensiamo che bastino la bellezza di un borgo, il tipo di paesaggio, il fatto di essere stato un borgo particolarmente attraente nel suo contesto per poterlo rianimare come un Frankenstein attraverso finanziamenti e progetti di recupero svincolato dal fatto che ci sono delle condizioni oggettive che rendono possibile o impossibile il ritorno a vivere nei paesi. Mi spiego meglio: se un paese è molto vicino a una città, magari raggiungendola agevolmente in un’ora di macchina, quel paese ha più possibilità di consentire una sorta di bi-residenzialità. Quindi consente di vivere una parte della settimana nel paese e l’altra in città. Quando invece il paese è stato bello, è stato importante ma è molto isolato perché si trova in aree difficilmente raggiungibili, ogni tentativo astratto e chirurgico di rimettere in piedi un corpo morto secondo me è vano. Non tutti i borghi sono uguali, ce ne sono alcuni del tutto inaccessibili per i quali risulta quasi impossibile pensare a un recupero, ed esiste invece un sistema di paesi prossimi alla città, chiamiamoli borghi o paesi, come preferite; pur essendo consapevole – e in questo concordo con gli altri che dicono di non chiamarli borghi ma paesi – del fatto che definirli borghi abbia molto più appeal. È ovvio che se parlo di borghi c’è una fascinazione intrinseca alla parola; se parlo di paesi, insomma, metà del fascino se n’è andato. Comincerei a parlare di paesi e borghi prossimi alla città entro un sistema di accessibilità, di infrastrutture e di servizi che rendano possibile a un giovane trentenne nel 2022 di tornare a viverci, in un paese. Perché se poi ti trasferisci e non hai i servizi, non hai l’ostetricia, non hai gli asili nido, dopo un po’ che cosa fai? Si naviga nel campo della non plausibilità, e mi domando: chi è quel cittadino che può reggere nel tempo l’isolamento dai servizi fondamentali?_____L’intervista completa di Norman di Lieto su: informazionesenzafiltro.it

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