Il titolo del capitolo primo: “Non è un designer, non è un architetto: è un inventore di luoghi” sembra citare (consapevolmente?) “È un aereo? È un uccello? No: è Superman”. L’architetto come supereroe? “È una figura nuova e insieme antichissima che si muove nel mondo restituendo senso e vita a luoghi che l’hanno persa. Rigenera, reinventa, riconnette spazi. Capisce e sente le città guardandole dal basso, unisce immaginazione e capacità di impresa” scrive nella prefazione l’autrice Elena Granata, professoressa di Urbanistica al Politecnico di Milano e autrice anche di “Biodivercity”. Oggi il ruolo del progettista si è completamente trasformato (allargandosi): in un mondo invaso da oggetti artificiali (più o meno connessi tra loro), il placemaker reintegra la Natura (e mi piace scriverla con la maiuscola) nei contesti urbani, riforesta e ripristina ecosistemi, progetta soluzioni per contrastare i cambiamenti climatici, ricuce (verbo caro a Renzo Piano) periferie sconnesse e disconnesse, immagina nuovi sviluppi per i borghi abbandonati, si rapporta con gli spazi aperti e vuoti; inoltre: “Non agisce solo sugli spazi fisici ma anche sui comportamenti umani e sulla natura (per l’autrice in minuscolo), sui sentimenti e gli stili di vita perché sa che è in gioco la nostra convivenza e la nostra salute collettiva. È il designer dei luoghi, l’inventore delle città che abiteremo”. Il saggio è popolato dai nuovi placemaker, figure quasi mitologiche, metà architetto e metà giardiniere (o senatore), metà politico e metà pedagogista, metà imprenditore e metà artista, metà designer e metà ambientalista: innovatori dirompenti che stanno ripensando gli spazi dove abiteremo, consapevoli che “Da tempo l’architettura ha perso il proprio ruolo di pungolo intelligente della società, la sua capacità di trasformazione reale dei luoghi e delle città, la sua capacità di generare visioni di lungo periodo”._____L'articolo completo di Danilo Premoli su: one.listonegiordano.com

Condividi il post