Individuare le cause per capire le soluzioni, senza fare la caccia ai colpevoli di un fenomeno estremamente complesso e ramificato. Dovrebbe essere questo l’approccio alle alluvioni in Emilia-Romagna, che sono il risultato di un cocktail indigesto di fattori e sottovalutazioni umane. La premessa necessaria è che, senza il riscaldamento globale originato dalle emissioni antropiche di gas serra, non si passerebbe da un estremo all’altro con questa rapidità. Fino a poche settimane fa si parlava di siccità (le cui conseguenze non scompariranno con queste precipitazioni), mentre oggi contiamo decine di Comuni sott’acqua, migliaia di persone evacuate e un numero di morti destinato a salire ulteriormente. Benvenuti nell’era della crisi climatica, in cui le vie di mezzo diventeranno una rarità. Ne abbiamo parlato a lungo: la variabilità primaverile a cui siamo abituati sta scomparendo, e le piogge hanno più tempo per sfogarsi su un singolo territorio. E se quel territorio è l’Emilia-Romagna, reduce da un’altra alluvione a inizio mese e al primo posto tra le Regioni più esposte al rischio idrogeologico, le conseguenze possono essere nefaste.Un cocktail di fattori, dicevamo. Sì, perché il nostro Paese – Emilia-Romagna compresa – non è pronto a prevenire e affrontare gli eventi sempre più violenti dovuti al riscaldamento globale di origine antropica. Tra le ragioni principali c’è l’impermeabilità della superficie su cui viviamo. Suolo impermeabile e crisi climatica: una bomba a orologeriaL’alluvione in Emilia-Romagna è stata aggravata da una serie di scelte politiche (dovute anche a una certa inclinazione culturale) orientate al consumo selvaggio di suolo e, quindi, alla cementificazione. Un vizio tutto italiano, di destra, centro e sinistra, totalmente incompatibile con un’emergenza climatica che esiste già. E che necessita non solo di interventi di mitigazione, ma di adattamento.«A parer mio, deve emergere il tema del negazionismo del consumo di suolo. In queste ore stanno circolando tutte le motivazioni e giustificazioni del caso, ma si nega che la crisi climatica sia enfatizzata dalla sedimentazione del consumo di suolo. L’Emilia-Romagna, ricordiamo, è la prima Regione d’Italia per cementificazione in aree a rischio alluvione. Nella coscienza collettiva non si è capito che un terreno impermeabilizzato, oggi, è una bomba a orologeria», spiega a Linkiesta Elena Granata, docente di urbanistica al Politecnico di Milano.Si potrebbe parlare del Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici fermo da sette anni alla fase preliminare; degli 8,4 miliardi di euro non spesi dallo Stato per contrastare il rischio idrogeologico; del malfunzionamento dei bacini di laminazione; dell’incuria dei fiumi; della chiusura della task force Italia Sicura. Tutto questo, però, si inserisce nel seguente contesto: nel 2021 abbiamo detto addio a diciannove ettari di suolo al giorno (valore più alto degli ultimi dieci anni).Secondo Granata, più che sul consumo di suolo bisognerebbe insistere sulla conseguenza di questo approccio, ossia l’impermeabilizzazione dei terreni: «Il tema relativamente nuovo è che l’incolumità delle persone è a rischio per via di un suolo sempre più cementificato. L’Emilia-Romagna ha tante superfici artificiali, tra asfalto e altri materiali non permeabili. La crisi climatica non spiega da sola la vastità del danno»._____L'articolo completo di Fabrizio Fasanella su: linkiesta.it

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