Jova beach party: musica e ambiente una sfida concreta senza ipocrisie

L'articolo a firma di Elena Granata e Fiore De lettera, è stato pubblicato su la Repubblica del 11 settembre, un estratto on line > milano.repubblica.it.Di seguito il testo integrale.


Se avesse ragione Jovanotti?Perché l’ambientalismo dovrebbe lasciarsele cantare

Il Jova Beach Party è un concerto che lancia (anche) messaggi sull’ambiente o è una manifestazione ambientalista che fa (anche) musica? Se cogliamo questa differenza, possiamo capire perché Jovanotti potrebbe avere ragione di reagire a tinte forti alle critiche degli ambientalisti. E perché gli ambientalisti italiani farebbero davvero bene a lasciarsele cantare. Jovanotti inventa un format innovativo e porta migliaia di giovani fuori dai luoghi tradizionali della musica, in montagna o in spiaggia, consentendo un’esperienza ad alto tasso emotivo. Interpretando in modo nuovo la tradizione delle più grandi kermesse pop, da Woodstock in poi, rifugge i luoghi deputati al divertimento, enfatizzando la dimensione emozionale e collettiva: un bagno catartico di musica e folla. Ma non si ferma lì. I suoi ultimi concerti mettono al centro la cura e il rispetto dell’ambiente, che vengono proposti non attraverso asserzioni e slogan ma una pragmatica molto dettagliata di cose da fare e da non fare, con quella tipica capacità persuasiva del fratello maggiore che suggerisce come stare al mondo.E su questo punto, Jovanotti entra in urto con alcune ortodossie dell’ambientalismo. Il patrocinio del WWF non lo mettono al riparo dalle critiche - vaghe o molto puntuali - sull’impatto ambientale della sua iniziativa. A che titolo Jovanotti, un cantante, può parlare di ecologia, di plastica, di rispetto della natura? Se avesse veramente a cuore solo l’ambiente non radunerebbe tante persone in un luogo fragile; se fosse preoccupato solo del messaggio, potrebbe rimanere negli stadi; se fosse interessato solo alla natura, terrebbe lontani dalle spiagge i suoi eccessi di decibel.Ecco che anche un concerto viene sottoposto alla stringente logica di quella che abbiamo chiamato in altre occasioni “la trappola del bene assoluto”: ovvero quella insostenibile inclinazione dei pensatori più radicali di assumere il principio nella sua valenza astratta, ignorando gli impatti, le complessità, le varabili che ogni azione umana porta con sé. Tutte le volte che l’ambientalismo indica il valore assoluto - dall’agricoltura a km zero, al rifiuto dell’alta velocità, dal no a inceneritori/termovalorizzatori al rifiuto aprioristico degli OGM -  senza la capacità di misurarsi con il campo del possibile e le ragioni del contesto, diventa ideologia, incapace oggi di cambiare i comportamenti delle persone. Nell’era della complessità e della molteplicità delle visioni possibili, la risposta ad uno stesso problema non è mai semplice e univoca. Le semplificazioni non aiutano a sviluppare una coscienza diffusa e attenta alla natura. Ci sono i veri ambientalisti e ci sono quelli che si fanno pubblicità con la natura, ci sono le associazioni da sempre attente agli animali e all’ecosistema e poi ci sono imprenditori che fanno greenwashing.Oggi queste disgiunzioni perdono senso, le passioni e gli interessi sono spesso confusamente e creativamente intrecciati. E il disinteresse puro, di per sé non è più una virtù assoluta. La partita ambientale non può essere appannaggio di pochi militanti, né può rinchiudersi nelle anguste stanze dell’accademia e della cultura alta, né tantomeno può essere delegata alla politica o al buon amministrare.È questione urgente e trasversale, che riguarda tutti e che non può più permettersi di essere esclusiva e specialistica, pena l’incapacità davvero costituzionale di diventare cultura.Bisogna allora rimescolare e scompaginare le carte. In questo senso, il Jova-pensiero sovverte la semantica dell’impegno civile e ambientale. Propone un contenuto serio senza rinunciare al suo intrinseco edonismo, portando in modo sorprendente “amore, cultura, economia, goduria, coraggio, spirito avventuroso e originalità” su una popolare spiaggia estiva.Certamente questa modalità non è nelle corde di un certo ambientalismo radicale – non tutto ovviamente, molte associazioni hanno modalità più aperte e innovative - che mal comprende come si possa conciliare leggerezza (nella forma) e profondità (del contenuto), e non accetta l’inevitabile e umana imperfezione (del risultato). L’utopia della perfetta coincidenza tra dire e fare, tra intenzione e risultato, porta a quel radicalismo inutile e moralista che spesso colpisce chi si dedica all’impegno civile, come quando rimprovera alla giovane Greta una banale bottiglia di plastica intravista sulla sua barca a vela.Proviamo a concentrarci sull’obiettivo. Il rispetto dell’ambiente, la ricerca di nuovi modelli di sviluppo, un cambiamento nelle prassi quotidiane richiede un grandissimo investimento sui modi di pensare delle persone, soprattutto dei più giovani. Un concerto ha la possibilità di arrivare a migliaia di individui e di persuaderli ad un cambio di sguardo. Può davvero incidere sui comportamenti di massa. Non si intende ovviamente minimizzare gli impatti sugli ecosistemi fragili delle nostre spiagge, ma dobbiamo essere capaci di valutare gli impatti a tutto tondo. E nel conto considerare anche la capacità del messaggio di arrivare a tantissime persone, con un’intensità che in altri modi non si avrebbe.La comunicazione ambientalista cui siamo stati abituati tende all’iperbole o al dramma, è incalzante e colpevolista perché vuole scuotere le coscienze: non vedi il disastro che sta accadendo? Bisogna intervenire ora!Attraverso l’esposizione ad una grandissima mole di informazioni e di dati - quelli che il filosofo Timothy Morton in Noi, esseri ecologici (2018) definisce una “discarica di informazioni” - dovremmo scuoterci, attivarci e cambiare vita. Cosa che regolarmente non accade.Paradossalmente, è proprio la domanda “che cosa posso fare io?” che ci mette con le spalle al muro, un po’ perché non sapremmo cosa fare, un po’ perché siamo convinti che le nostre singole azioni servirebbero a poco, quando restano isolate e individuali. Morton invita ad abbandonare l’idea di dare risposte a tutto, di capire tutto, di controllare tutto, perché la consapevolezza ecologica è già latente nella testa delle persone e va solo risvegliata. I giovani, quelli che affollano le spiagge, in cerca di emozioni e notti in bianco, sono già dei potenziali ambientalisti. Ma non ascoltano parole, prediche o reprimende. Imparano facendo, vivendo, incontrandosi, apprendono per via empatica, copiando e replicando modelli. Animalità pura. Per questo un pensiero che si celebra nella moltitudine di un concerto, libera l’individuo dalla sua solitudine e lo fa sentire parte di un movimento collettivo. Esattamente quella dimensione politica e collettiva, vedi il movimento di Greta, che è mancata negli ultimi anni.Le persone possono essere indotte a compiere buone scelte da “pungoli leggeri” che fanno leva sulla loro componente più emotiva - e siamo ancora lì… - come ci ricorda il premio Nobel per l’economia Richard Thaler, perché gli istinti e le irrazionalità sono risorse preziose per attivare comportamenti. Da Montessori a Jovanotti, da Morin a Thaler, anche l’apprendimento di comportamenti etici deriva dalla forza irrazionale dell’imitazione, dall’emozione che diventa gesto concreto. Dall’emozione che diventa pensiero.Il 21 settembre il tour chiude a Milano, nell’aeroporto di Linate, chiuso per lavori. Non è un caso, Milano è la città che sta lavorando con più impegno e visione sui temi ambientali. Sovvertendo tutti i passati immaginari si candida a diventare la città della transizione ecologica - come l’ha definita il sindaco Beppe Sala - che incrocia attenzione alle persone e valore della natura, innovazione e qualità di vita.

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