La casa come specchio del Paese

La casa come specchio del Paese

Siamo il paese della favola dei “Tre porcellini”. Abbiamo imparato fin da bambini che, per ripararsi dai rischi e dalle tempeste, non bisogna fare ricorso a case precarie e fragili, ma a solide case di muratura, meglio se di proprietà, da costruire nel tempo, prima che arrivi il lupo e che giunga l’inverno.

Una struttura sociale, fatta di legami familiari ispirati a un certo mutuo soccorso e di case di proprietà, è il paracadute che ha salvato dall’abisso della crisi molte famiglie italiane, molti giovani senza occupazione, molte persone che il lavoro l’hanno precocemente perso.

D’altro canto, questa struttura è lo specchio e la proiezione di un modello sociale molto statico, poco incline alla mobilità sociale, più propenso a generare rendita che lavoro. Un modello che oggi comincia a fare emergere i suoi aspetti di fragilità, soprattutto se osserviamo le fasce di popolazione più deboli e a rischio di povertà. A un’immobilità fisica degli immobili corrisponde un’immobilità sociale e un profondo invecchiamento della popolazione.

Se osserviamo l’abitare nella sua dimensione di diritto fondamentale, emergono paradossi e aporie. L’Italia è il primo paese in Europa per numero di case in relazione a quello delle famiglie, ma ci sono case senza abitanti e abitanti senza case. Chi cerca casa e non la trova, chi ha molte case e le tiene vuote. Chi ha bisogno di case e non riesce a comprarle, chi continua a costruire case e non riesce a vendere.

Paradossi dell'abitare

n un Paese che ha costruito case a ritmo crescente, senza che questa iper-produzione edilizia abbia saputo mitigare il disagio abitativo diffuso e quella fame di case che investe ancora troppe famiglie. Cresce la domanda di case, allo stesso tempo cresce l’offerta, ma queste due variabili non s’incontrano. L’intervento pubblico ha incentivato il mercato della produzione edilizia, mentre avrebbe dovuto regolarne il mercato per favorire l’incontro tra domanda e offerta. È mancato il momento redistributivo.

Se osserviamo le nostre città, viene in evidenza la crescita del numero di chi ha diritto alla città e chi ne viene escluso. Sempre più gruppi sociali hanno difficoltà a trovare casa (giovani coppie, lavoratori, migranti, famiglie numerose, anziani, sfrattati, studenti universitari) o sono affaticati dal costo della casa in rapporto al reddito. Inoltre, cresce il numero dei mal alloggiati, persone con case troppo piccole o sotto dotate di servizi, che coabitano forzatamente con altri in condizioni di sovraffollamento, in abitazioni degradate, e dei senza casa, di chi è costretto a ripari di fortuna.

La nuova domanda abitativa è certamente correlata al mutamento avvenuto nei percorsi di vita e familiari. La famiglia negli ultimi decenni è infatti cambiata in almeno tre direzioni rilevanti per le sue implicazioni sulle pratiche dell’abitare.

  1. Innanzitutto, l’allungamento della vita ha portato alla necessità di nuove coabitazioni con i genitori anziani o con il genitore rimasto solo e incrementa il numero di anziani destinati a vivere da soli per lunghi anni;
  2. 2In secondo luogo, la permanenza dei figli adulti presso la famiglia d’origine ha posto questioni legate all’autonomia e all’indipendenza entro gli spazi di componenti tutti ormai adulti entro l’alloggio e la fatica di sganciarsi economicamente dal nucleo famigliare;
  3. 3Infine, la fragilizzazione della famiglia tradizionale e la frequenza di divorzi e separazioni, oltre a situazioni di disagio abitativo (e di ritorno alla coabitazione) di uno dei coniugi, hanno generato nuove povertà abitativa e domande di alloggi a prezzi moderati (Granata, 2013, 2011, 2009).
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