La sanità al centro della politica

In vista del voto regionale “Il Segno” di gennaio dedica l’Opinione alla cura e al benessere dei lombardi che pubblichiamo di seguito. Nel giornale anche l’inchiesta di Stefania Cecchetti sui “nervi scoperti” della gestione del servizio sanitario nella nostra regione. In Lombardia quella che potremmo chiamare la “cultura della prestazione” – capace di dare risposte solo funzionali, basata su un’idea di eccellenza che trascura le fragilità e la componente umana e sociale del nostro benessere, sensibile più alla rendita e al profitto che alla serenità delle comunità – ha lasciato profonde ferite.Sono bastati pochi anni perché andasse in crisi un sistema economico, sanitario, civile che pensavamo ben saldo, facendo emergere molte delle sue profonde debolezze. Basta essere entrati in un ospedale, avere un genitore in una residenza per anziani, provare a conciliare lavoro e crescita di figli piccoli in città come Milano, Brescia o Bergamo per comprendere quanto la nostra idea di qualità della vita venga continuamente messa a dura prova. Mai come negli anni della pandemia abbiamo dubitato della risposta del nostro sistema immunitario collettivo, della tenuta persino delle nostre istituzioni locali.Ecco perché il tema della cura e del benessere delle persone non può non tornare al centro della questione politica. Il rischio che le diseguaglianze possano crescere in un contesto di crisi e di incertezza ci chiama tutti a un’assunzione di responsabilità.Troppo a lungo abbiamo sacrificato i bisogni e i desideri delle persone e delle comunità, ritenendoli secondari rispetto a un’idea di crescita e di sviluppo solo economica. Penso alla salute, all’educazione dei più piccoli, alle persone anziane e sole, ai giovani, alla qualità dell’aria, alla vivibilità nelle nostre città, alla domanda di casa. Tutti temi che la politica ha sacrificato in nome di un’eccellenza lombarda che oggi ci pare così sfuocata nella sua definizione. Eccellenti in che cosa? Se persino Milano con le sue davvero eccellenti università rischia di perdere studenti e giovani famiglie perché le case sono troppo care. Milano dovrà immaginare chi saranno gli abitanti dei prossimi anni (se non vuole diventare la città dove si investono capitali ma si perdono giovani ed energie sociali creative), dovrà avviare l’annunciata e poi dimenticata transizione ecologica, porre con forza il tema dell’invecchiamento e della qualità di vita della quarta età, e infine, ultimo, ma non questo meno importante, dovrà capire se davvero il prezzo chiesto alle donne per realizzare i loro talenti sia la rinuncia a legami e figli. Serve un radicale cambio di direzione. Dobbiamo assumere in modo più radicale la cura di alcune fratture: tra ambiente/natura e persone, tra vita quotidiana e tecnologia, tra lavoro e future generazioni, tra salute ed economia.Abbiamo privilegiato un approccio funzionalista a uno relazionale. Abbiamo ridotto la natura a una piattaforma di attività e il paesaggio alla sola estetica, a quella bellezza da ammirare aprendo le finestre di casa, dimenticando che ha anche una dimensione etica legata al nostro benessere, alla produzione del cibo e del vino, all’agricoltura, alla tutela del suolo.Abbiamo tolto la sfera affettiva ed esperienziale dalla scuola, riducendola a un format di trasmissione e di apprendimento per moduli rigidi. Ma come la pedagogia ci ha da decenni insegnato, nessuno studente impara se lo si priva di quella dimensione che tocca le corde del cuore prima di quelle cognitive. Abbiamo separato la cura del corpo da quella dell’anima, siamo diventati bravissimi a sanare le nostre ferite senza capire che la persona è una e che la sofferenza non è sempre legata al corpo e alla malattia. Oggi ci misuriamo con una profonda domanda di ricomposizione tra corpo e mente, ma anche tra salute del pianeta, salute delle persone e degli animali (come l’approccio olistico One Health, una sola è la salute finalmente suggerisce ai decisori politici e agli analisti). La pianura padana è la fascia dove si respira l’aria più inquinata d’Europa, ma chi in questa regione riesce a dare voce e sostanza alla questione ambientale in maniera incisiva, senza accontentarsi di soluzioni semplici?L’attenzione per il suolo, per lo spazio aperto, per un sistema connesso di ciclabili sicure è ancora limitata. Né si può sperare di intervenire efficacemente senza interventi a scala metropolitana e regionale. Lo smog non conosce confini amministrativi.Più in generale manca la capacità di connettere in misure decise e coerenti, quella galassia di azioni e buone pratiche che riguardano casa-fragilità-lavoro-salute-ambiente. La sfida più grande oggi per la Lombardia è quella di passare da una visione (solo) economica a una visione eco-logica, capace cioè di tenere insieme in modo nuovo le complesse dimensioni della vita quotidiana, con particolare attenzione ai beni comuni dal cui destino dipendiamo tutti (l’acqua, il suolo, l’aria, la luce e il cielo, ma anche l’educazione, l’accesso al web, le competenze digitali, i servizi al cittadino). Servirebbero – ma dove li facciamo nascere? – politici e cittadini partecipi e capaci di ripartire dai luoghi dove le persone vivono. È nei luoghi che abbiamo ritrovato il senso della prossimità durante la pandemia, è nei luoghi che dovremo trovare soluzioni alla sfida energetica, attivando comunità energetiche capaci di costruire comunità intorno alla produzione e alla condivisione dell’energia, è nei luoghi che dovrà tornare ad essere centrale la produzione alimentare, che significa anche cura della terra e del paesaggio, è nei luoghi che affronteremo la sfida climatica, promuovendo azioni concrete di rinaturalizzazione, di mitigazione ambientale, di contenimento degli effetti di siccità e inondazioni. È nei luoghi che dovremo ricostruire le condizioni della partecipazione popolare e del confronto, elemento di salute del corpo sociale. Ci attende un grande lavoro, nessuno si senta escluso. _____Articolo pubblicato su: chiesadimilano.it

Condividi il post