La terra ci nutre. Perché le mele non crescono nei supermercati
La terra ci nutre. Perché le mele non crescono nei supermercati
Qualcosa sta cambiando. Lentamente, ma sta cambiando. Sta emergendo un rinnovato interesse per le tematiche ambientali da parte dei più giovani, interesse che si trasforma in domanda di formazione e in impegno concreto. Osserviamo alcuni elementi di discontinuità.
Negli ultimi cinque anni, da quando è scoppiata la crisi economica, sono aumentati del 30% i ragazzi che hanno scelto di studiare agraria dopo la terza media. È quanto risulta da una ricerca di Coldiretti resa nota nell’ambito del piano dell’Unione Europea «Youth Guarantee», per il rilancio dell’occupazione giovanile. Considerando il solo caso lombardo, nel 2009 erano poco più di 8 mila gli studenti degli istituti tecnici e professionali con indirizzo agrario, oggi sono quasi 10 mila. A livello nazionale quasi uno studente su quattro cerca una prospettiva di lavoro nell’Italian food: il 23% degli iscritti al primo anno delle secondarie superiori, tecniche e professionali, ha scelto per il 2013/14 studi legati all’agricoltura o all’enogastronomia (dati Coldiretti, 2014)
Una tendenza simile si registra a livello di scelta universitaria. Nell’anno accademico 2013-2014 si è registrato un aumento del 72% delle immatricolazioni in scienze agrarie, forestali e ambientali rispetto al 2007-2008. Incremento ancor più significativo se si pensa che proprio il 2014 è stato caratterizzato da un calo generale delle immatricolazioni universitarie. Una tendenza causata dalla crisi che ha portato i vari atenei, privati di molte risorse economiche, ad aumentare la retta annuale (dati Cun, 2014).
Un secondo elemento riguarda il risveglio della militanza civile intorno alla salvaguardia del territorio. Sono, inoltre, circa 800 su tutto il territorio nazionale le associazioni che aderiscono al Forum dei movimenti per la terra e il paesaggio, Salviamo il paesaggio, a testimonianza di un risveglio di attenzione capillare e diffuso intorno alla difesa della terra e della necessità di lavorare sull’ambiente per rinforzare anche i legami tra le persone.
Un terzo elemento è dato da un ritorno di attenzione ai temi della produzione di cibo, all’agricoltura biologica e alla filiera corta nei processi di produzione-distribuzione agricola. La spinta ad accorciare la distanza tra luogo di produzione e luogo di consumo dei prodotti alimentari sottende una critica marcata al modo in cui la filiera alimentare dai produttori, ai trasformatori, ai distributori ai consumatori accresce il prezzo delle merci, impatta negativamente sul territorio (aumentando volumi di traffico e inquinamento), favorisce la produzione di ricchezza al centro della filiera, rendendo sempre più marginale e precaria la posizione dell’agricoltore.
La scelta dell’alimentazione basata sulla filiera corta, stabilisce un numero esiguo di passaggi tra produttore e consumatore.
Spesso il dialogo avviene in modo diretto, senza l’intermediazione della distribuzione commerciale abbattendo così spese di trasporto, costi e inquinamento. I prodotti venduti sono biologici e naturali, il consumatore può accertare direttamente la qualità, la provenienza e la metodologia utilizzata per la sua creazione.
Lavorare su un’agricoltura di qualità, su filiere corte, sul valore del lavoro non significa limitarsi a vendere qualche prodotto locale in più, ma creare sistemi in grado di mantenersi su base locale creando delle condizioni in grado di generare ricchezza locale: sia di tipo monetario, sia una ricchezza legata ai beni immateriali.
La filiera corta è anche uno dei principali strumenti di tutela del territorio. Molti contesti urbani, si pensi alle grandi e medie città italiane, hanno spesso ancora intorno ampie fasce agricole di un certo peso che vengono considerate territorio in attesa di urbanizzazione e di espansione urbana. La vera difesa è una strategia che valorizzi l’agricoltura di qualità mettendola in relazione diretta con la domanda di benessere e di cibo sano che proviene dalle città. In questo modo si possono valorizzare le specificità e tipicità dei luoghi e dei paesaggi, anche a ridosso delle città (Calori, 2011).
Un’agricoltura di qualità, accessibile e controllata, che opera dentro una rete di relazioni, può infine valorizzare il proprio compito educativo contribuendo ad accrescere una cultura della buona alimentazione, collaborando con mense e scuole territoriali, favorendo l’accesso alle attività agricole di qualità anche alle nuove generazioni. Si tratta di percorso ancora iniziale, faticoso, che richiede capacità di visione e di immaginazione, che faccia superare inerzie e disabitudini alla cooperazione e l’ìmpari confronto con un mercato fortemente concentrato intorno a pochi attori.