Vivere il Coronavirus, riflessioni in corso
E’ inutile negarlo: il coronavirus, ha rivoluzionato le nostre vite. Abbiamo dovuto rinunciare alla socialità, il mondo del lavoro è cambiato con l’introduzione dello smart-working, ci si sposta per poche motivazioni e il “prendere aria” è diventato un momento prezioso soprattutto per chi se lo può permettere avendo a disposizione un balcone, un terrazzo o un cortile. La natura si sta rimpossessando degli spazi prima occupati dall’uomo, il traffico è assente, lo smog è praticamente sparito, fiumi e mari sono tornati limpidi e ogni giorno si sente la notizia di un animale selvatico che gira indisturbato nei centri abitati. Presto dovremo tornare vivere una nuova normalità bisognerà reinventare nuovi spazi, nuove connessioni, nuove forme di cooperazione, nuovi meccanismi di consumo, un nuovo sistema produttivo, insomma, una nuova convivenza urbana. Tutto questo per far fronte alla problematica principale: la distanza. Ma allora, come sosteneva Edward Glaeser, le città sono ancora la più grande invenzione di tutti i tempi? E’ veramente ancora attuale il concetto di città come riduzione delle distanze per facilitare le interazioni? A quanto pare il concetto storico del Benevolo di insediamento urbano pare non essere più attuale: “l’insediamento urbano – a partire dal terzo millennio avanti Cristo – serve a ottenere, mediante una compressione dei rapporti spaziali, un’accelerazione dei cambiamenti temporali, e imprimere alla vicenda umana il passo più veloce che distingue la storia dalla preistoria”. Siamo di fronte ad una nuova crisi urbana, che sicuramente passerà, ma adesso in un qualche modo va risolta nelle sue molteplici sfaccettature. Un esempio è il trasporto pubblico. L’auto personale, il mezzo di trasporto più sicuro visto che assicura il distanziamento sociale, assieme a moto e scooter, tornerà ad essere l’unica soluzione per viaggiare in città. Il sistema dello sharing entrerà a sua volta in crisi e pensare che appena prima dell’arrivo del coronavirus era nel pieno del suo sviluppo soprattutto in ambito urbano. Il tema del trasporto pubblico sarà tra i più dibattuti e assisteremo ai più grandi e veloci adattamenti per assicurare gli spostamenti anche di lungo raggio. Altra tematica scottante da risolvere sarà il lavoro. Per esempio gli uffici. In una società iperconnessa i complessi di edifici dove si svolgono gran parte delle attività del terziario, sono ancora necessari? O basta la casa e una connessione internet? Se così fosse allora ha ragione l’Arch. Stefano Boeri: “Via dalle città. Nei vecchi borghi c’è il nostro futuro” sostenendo la riattivazione dei centri minori in stato di abbandono come alternativa all’impossibilità momentanea di garantire una distanza di sicurezza in città. Un idea di riattivazione che condivido da sempre per molteplici motivazioni, tra queste: per contrastare l’inesorabile piaga del consumo di suolo, come soluzione all’emergenza abitativa, come tipologia di conservazione del patrimonio storico, architettonico e simbolico del nostro Paese e ora come non mai come opportunità per un ritorno alla normalità. Una nuova normalità che porti a modelli di vita alternati e consapevoli dei rischi che eventi di questa portata, seppur rari, possono stravolgere improvvisamente le nostre abitudini.Il tema dei borghi abbandonati è un argomento che mi sta particolarmente a cuore infatti nella prima tesi di laurea triennale in Urbanistica nel 2015 (http://planetb.it/borghi-abbandonati-censimento-di-unitalia-che-sta-scomparendo/) ho voluto capirne qualcosa in più e ho sviluppato un censimento per capire quanti di questi tesori a cielo aperto esistono nel nostro Paese. Il risultato era di 182 borghi abbandonati. Ma esisteva una domanda a cui non riuscii a dare una risposta: “Una volta censiti tutti questi borghi, come possiamo recuperarli?”
L’Italia dei borghi
La piccola dimensione è un forte limite rispetto alle esigenze su larga scala richieste dall’economia che penalizzano queste aree a discapito dei grandi centri maggiormente organizzati che riescono a garantire servizi migliori. Le zone più penalizzate sono i territori dell’entroterra, in particolare quelli sulla fascia appenninica: non avendo la stessa “importanza” dei valichi alpini, che sono di collegamento con gli stati a nord dell’Italia, hanno subito uno sviluppo inferiore, soprattutto a livello infrastrutturale e dunque un progressivo abbandono. I borghi abbandonati in Italia: censimento di un’Italia che scompare
I borghi abbandonati non sono, infatti, nel nostro Paese delle eccezioni territoriali ma sono una realtà diffusa su tutto il territorio nazionale, che merita attenzione.Oggi sono 5.627 i piccoli comuni a rischio di cui 3.532 sotto i 2.000 abitanti e 2.105 sotto i 1.000 abitanti e dunque in avanzato stato di abbandono, 197 sono invece i borghi completamente abbandonati. Spesso questi borghi, piccoli, un gruppo di case che sorge intorno ad una piazza, solitamente “quella della chiesa”, “della fontana”, “del mercato” o del “palazzo comune”, posizionati in luoghi inaccessibili, difficilmente raggiungibili e distanti da principali vie di comunicazione, hanno come loro “habitat ideale” l’Appennino e le regioni dell’entroterra.
Questi luoghi sono portavoce di identità locali di valore inestimabile ritrovatili all’interno del borgo stesso come testimonianza dello stile di vita, del modo di costruire, del modo di abitare e di relazionarsi con il paesaggio.L’Italia a seguito del boom economico del secondo dopoguerra, ha conosciuto il momento di massimo abbandono dei borghi per spopolamento: è il grande esodo della popolazione che ha abbandonato il paese di origine alla ricerca di lavoro e benessere in città. Un fenomeno che coincide anche con l’abbandono dell’agricoltura a favore dell’industrializzazione. La regione italiana che detiene il primato per la presenza di borghi abbandonati è della Toscana e del Piemonte con rispettivamente ben 19 borghi; al secondo Abruzzo e Liguria con 17 borghi e al terzo la Sardegna con 16 borghi. Il dato interessante è che tutte le regioni hanno almeno un borgo abbandonato, nessuna è esclusa.Questa parte evidenzia in modo chiaro quando detto prima: l’habitat ideale dei borghi abbandonati è di certo l’Appennino. Al contrario, le Alpi, sviluppando una loro forte economia di valico, non hanno subito il fenomeno dello spopolamento o se si sono verificati casi, sicuramente, non sono stati così marcati e incisivi come è avvenuto sugli Appennini. Regioni come la Valle d’Aosta con un solo borgo abbandonato, il Trentino Alto Adige con due soli borghi abbandonati, il Veneto con tre e il Friuli Venezia Giulia con cinque, ne sono la valida testimonianza.
I borghi rinnovati
Ad oggi, le principali tipologie di recupero dei borghi, completamente abbandonati o in via di abbandono, si differenziano a seconda delle finalità:Il Borgo Turistico-ImmobiliareIl Borgo ProduttivoIl Borgo SocialeIl Borgo CulturaleIl Borgo Opera d’Arte
Il borgo turistico-immobiliareE’ sicuramente la finalità di recupero più gettonata tra i borghi abbandonati in quanto garantisce in tempi relativamente brevi il ritorno del capitale investito. Il borgo turistico/immobiliare ha come obiettivo la trasformazione degli edifici in strutture ricettive e/o abitazioni private: in entrambe in casi i proventi entrerebbero rispettivamente dal turismo per il primo e dalla vendita immobiliare nel secondo. Il gruppo più numeroso di iniziative in questo settore è legato alla realizzazione di alberghi diffusi: in un edificio risiede la hall mentre le altre case diventano le stanze, il tutto corredato da servizi alberghieri.
Castello di Postignano, Perugia Il borgo produttivoCome riporta la dicitura, questa tipologia di borgo ha come scopo principale quello di ospitare attività produttive di qualsiasi natura: dalla vecchia manifattura alle moderne start-up passando per i centri di ricerca e sviluppo universitari o le classiche aziende agricole se non qualsiasi altra tipologia di produzione che abbia un forte legame col territorio. Il borgo produttivo che maggior parte degli studi riportano come esempio emblematico è Solomeo frazione di Corciano in Provincia di Perugia ristrutturato dall’imprenditore Brunello Crucinelli che ha trasformato il paese in un centro per la produzione del cachemire con l’obiettivo di coniugare ambiente e creatività umana. Peccato che Solomeo, nonostante l’eccellente opera di recupero, non sia mai stato un borgo completamente abbandonato: possiamo dire che grazie all’imprenditore è stato salvato dall’abbandono e dalla decadenza.
Il borgo sociale Gli interventi a finalità sociali hanno tra gli obiettivi principali: la promozione delle comunità locali, lo sviluppo innovativo dei servizi e la costruzione di reti solidali. Il coinvolgimento di più soggetti e la loro partecipazione attiva è essenziale per favorire la crescita economica, sociale e culturale della comunità se non la base per il recupero di un borgo abbandonato con questa finalità. Le iniziative per il rafforzamento del capitale sociale sono basilari per la creazione di posti di lavoro, per garantire la vivibilità del borgo e per la valorizzazione e la promozione del territorio dal punto di vista sociale ed economico. Non esiste un esempio puro di Social Housing su borghi completamente abbandonati ma ultimamente si stanno sperimentando forme di Co-Housing applicabili a realtà che puntano alla socialità come l’esempio del borgo Torri Superiore.
Il borgo creativoArte, cultura e intrattenimento sono le attività principali dei progetti per la riattivazione di un borgo con questa finalità. Diverse sono le manifestazioni di questa tipo di localizzazione e vanno dall’insediamento di comunità di artisti all’organizzazione di attività di ricerca e formazione come: workshop, stage, produzioni e sperimentazioni artistiche, festival ed eventi culturali ed incontri. Il coinvolgimento di artisti emergenti o affermati e la partecipazione di personalità della cultura agli incontri o alla vita del borgo ne fanno un valore aggiunto in quanto in questo modo si viene ad innescare una rete di organizzazione, oltre che degli spazi fisici per ospitare questi eventi, per l’accoglienza e il soggiorno degli ospiti diventato parte integrante ad una reale integrazione al progetto di riattivazione. Lo scambio e il baratto nella loro semplicità sono una parte importante per lo sviluppo e la buona riuscita di questi progetti: produzioni artistiche ed eventi in cambio di ospitalità, quest’ultima utile anche per la promozione del territorio e delle comunità locali che gravitano attorno al borgo.
Centro Lou Pourtoun, Sant'Antonio, Cuneo Il borgo opera d’arteNon è un vero e proprio recupero, si potrebbe definire più un cambio d’uso. Il borgo opera d’arte, come memoria o testimonianza, è la trasformazione del borgo stesso in un installazione artistica: statica, non abitabile e usufruibile per altre attività. Questa tipologia si addice alle realtà che per vari motivi si trovano in situazioni dove il recupero è difficilmente attuabile a causa del pessimo stato di conservazione: è il caso delle rovine.
Gibellina Vecchia, Trapani Caso StudioIl borgo organizzato - Rovaiolo Vecchio
Perché, invece, il solito albergo diffuso? La solita struttura ricettiva? O perché la solita sterile, e noiosa ristrutturazione per trasformare un borgo abbandonato in delle comuni residenze? Magari nemmeno residenze principali ma secondarie da sfruttare soltanto per week end, vacanze e ponti. È proprio in questa occasione che analizzando i dati e facendo una serie di considerazioni legate al territorio sono arrivato ad ipotizzare una rinascita del borgo non a sé stante ma come parte integrante della comunità esistente. Il borgo come rafforzamento territoriale, come legame con la comunità, come ausilio alla vita montana, come bene di pubblica utilità. Rovaiolo Vecchio, adagiato sul versante est del Monte Lesima (1724 m), venne abbandonato nel 1960 su ordine della Prefettura che, dopo aver registrato due anni prima una pericolosa frana e alcuni movimenti sospetti della montagna a causa dell’erosione dovuta dal sottostante torrente Avagnone, affluente del fiume Trebbia, diede l’ordine di sgombero immediato. I contadini non si fecero pregare e nel giro di poche ore, 10 famiglie per un totale di 49 persone incentivati anche da sostanziosi aiuti pubblici, si trasferirono nell’attuale Rovaiolo Nuova, sull'altra sponda del torrente. Il comune di Brallo di Pregola in collaborazione col Genio Civile, senza non pochi intoppi burocratici, affidò la costruzione del nuovo centro abitato all’Istituto Autonomo Case Popolari per un costo di 26 milioni di lire equivalente a circa 350.000 euro attuali. Ironia della sorte, oggi il nuovo insediamento è sotto monitoraggio in quanto minaccia di franare a valle per le stesse cause geologiche del passato mentre il vecchio insediamento non ha subito nessun danno grave, solo danni dovuti alla mancata manutenzione, ed è tutt’ora intatto come l’attimo che ha preceduto lo sgombero: immobile nel tempo da 60 anni esatti. Rovaiolo Vecchio con le sue case raggruppate è una vetrina immacolata sul passato in quanto la totalità delle abitazioni è tutt’oggi allo stato originario: un vero e proprio esempio di architettura rurale immutata nel tempo che merita di essere conservata come testimonianza di una vita contadina spontanea che ormai non esiste più.I dati, parlano chiaro: stiamo parlando di un territorio difficile da vivere e questo fatto è confermato dal trend negativo che vede dagli anni 60 una costante decrescita della popolazione, un saldo demografico negativo da decenni, un indice di natalità che nel 2016 ha toccato il record di 0 rendendo Brallo di Pregola il 35° comune con il più alto tasso di mortalità ovviamente correlato all’elevata età media che si attesta sui 61 anni contro i 45,2 della media nazionale e non a caso risulta essere il 15° comune con la più alta percentuale di residenti anziani. Allora perché non rendere Rovaiolo Vecchio un borgo utile e ben organizzato a sussidio di questa popolazione ma con un occhio verso il futuro creando nuove strutture capaci di intercettare giovani abitanti, famiglie e chiunque voglia vivere in questa località. Non solo, l’idea di creare un Borgo Organizzato, sarebbe di gran lunga molto utile, vista la vicinanza, anche ai comuni limitrofi di Zerba, Cerignale e Corte Brugnatella, sotto la provincia di Piacenza dunque regione Emilia – Romagna, visto che presentano, con incidenza leggermente minore, le stesse problematiche legate allo spopolamento.Rovaiolo Vecchio con la sua posizione decentrata rispetto a Brallo di Pregola, distante 12km di strada, ha tutte le caratteristiche per diventare un Borgo Organizzato e ospitare quei servizi che colpa delle distanze o della loro completa inesistenza, dovuta anche al fatto che mancano fisicamente gli spazi, non hanno avuto occasione di esistere.Occasione che invece ci offre il borgo con i suoi edifici abbandonati. L’idea è quella di preservare, tenendo il più immutato possibile, l’architettura e i materiali che caratterizzano la tipicità di questo luogo fornendo però al loro interno dei servizi nuovi: un ambulatorio con presidio medico e la possibilità di effettuare esami clinici semplici, un centro culturale che ospiti al suo interno uno spazio mostre, una biblioteca e delle postazioni per lo smart working, un distaccamento del comune con sportello anagrafe per servizi semplici, certificati e rinnovi, una piccola filiale delle poste con annesso bancomat, una sede Auser per il servizio e l’assistenza domiciliare, un infopont turistico con bar e ciclofficina.
Rovaiolo Vecchio, Pavia foto di Daniele Benedini Il progetto dal Borgo Organizzato vuole rivolgersi a tutte quelle realtà interne delle zone meno attive del nostro Paese che posso trovare in questa idea la possibilità di incrementare la struttura di servizi esistenti invertendo la marcia dettata dall’inesorabile spopolamento e tornando ad attrarre nuovi abitanti, anche giovani, senza perderne altri. Un piccolo valore aggiunto per non perdere la nostra grande storia. [dalla tesi di laurea in Management of Built Environment, Politecnico di Milano “Rovaiolo Vecchio, un’idea di Borgo Organizzato” di Daniele Benedini]
Rovaiolo Vecchio, Pavia foto di Daniele Benedini Rovaiolo Vecchio, Pavia foto di Daniele Benedini Rovaiolo Vecchio, Pavia foto di Daniele Benedini Rovaiolo Vecchio, Pavia foto di Daniele Benedini Rovaiolo Vecchio, Pavia foto di Daniele Benedini