“Perdoni l’insistenza”.L’ossimoro dei tempi che corrono
Non rispondo per un paio di giorni alle mail - quasi tutte di invito o richieste di qualcosa - e vengo raggiunto da persone che entrano in ansia e ti rimandano la stessa mail nel dubbio che tu l’abbia persa.Non rispondo in tempo reale ad un invito su whatsapp ed ecco che ritrovo lo stesso messaggio sulla posta elettronica o dopo poche ore ricevi una telefonata allarmata - neppure mia madre arriverebbe a tanto - in cui mi chiedono se è successo qualcosa.Dopo un po’ scatta inesorabile l’ennesimo messaggio preceduto dal fatidico “perdoni l’insistenza”. Che poi è la formula gentile per dire “adesso è davvero troppo, il suo tempo sta per scadere”.Mi capita così di frequente da indurmi a qualche riflessione. Il tempo è una variabile molto soggettiva, dipende dalle stagioni della vita, dalla salute, dalla presenza di figli piccoli, dal grado di esposizione pubblica che qualcuno di noi può avere. Ci sono situazioni in cui rispondere subito e con prontezza è oggettivamente impossibile, perché è implicita una richiesta di riflessioni, magari condivise con altri, o la verifica di un’agenda sempre più fluida, continuamente soggetta all’incastro possibile e impossibile. Questo capita a tutti (o quasi). Molti di noi lo sperimentano ogni giorno. Ma appena ci troviamo dall’altra parte, nella condizione di attendere una risposta da qualcuno, diventiamo inspiegabilmente impazienti e incapaci di cogliere la densità delle vite degli altri. Incapaci, soprattutto, di immaginare la posizione che la nostra richiesta possa avere nella scaletta delle priorità dell’altro.Ecco che scatta l’attività di accerchiamento: se non rispondi alla mail ti chiamo per telefono, se non rispondi al telefono ti scrivo un messaggio, se non rispondi al messaggio ti faccio chiamare da un amico comune, se manco l’amico ci riesce chiamo l’Ufficio Comunicazione del Politecnico di Milano, come mi è successo qualche giorno fa. Perdoni l’insistenza.No, l’insistenza non si può quasi mai perdonare, perché se ti ritrovi nella condizione di insistere significa che non sai cogliere i segnali deboli che il tuo interlocutore ti ha inviato. Significa che non sei in grado di capire che (anche) non rispondere è una risposta, che può avere una serie di ragioni che puoi in qualche modo intuire.Se poi mandi un messaggio di lavoro di sabato o di domenica puoi anche immaginare che il tuo interlocutore abbia di meglio da fare, che sia in campagna con i figli, che stacchi per qualche ora di riposo.L’insistenza è davvero raramente giustificabile, e suggerisce spesso l’altrui desistenza. La tecnologia digitale - prima col cellulare e subito dopo con l’e-mail - ha demolito in pochi anni un codice di educazione durato secoli sostituendolo con un altro. Se fino a qualche anno fa una telefonata o una lettera era considerata pur sempre una piccola invasione del privato, e per questo veniva accompagnata da morbidezze cerimoniali di vario tipo, oggi il nuovo codice dei comportamenti digitali rovescia le posizioni, trovando in difetto chi non dovesse rispondere nei tempi e nei modi con cui viene interpellato.Ma se siamo sempre raggiungibili in tempo reale, attraverso i vari social, il telefono, le mail, gli infiniti contatti possibili, in quale modo possiamo ripristinare un reciproco galateo di rispetto, capace di attesa e di nuove formule di gentilezza?