Promesse, attese, aspettative e possibili delusioni

(tratto dal «Rapporto sulla Città 2022 - La Milano che siamo, la Milano che sogniamo», realizzato dalla Fondazione Ambrosianeum)

La città che ha promesso molto

Per anni Milano ha attirato a sé con una promessa: in questa città puoi realizzare il tuo progetto, puoi investire i tuoi capitali, puoi far nascere una nuova impresa, puoi incontrare qualcuno o qualcosa che ti cambia la vita. Città dei giovani che vengono da ogni parte d’Italia, città degli universitari, città dove le donne possono ambire a un posto di lavoro degno di questo nome, città delle mille lingue e delle mille appartenenze, città dell’alto e del basso, della moda e delle mode che nascono e rinascono, città delle week e degli eventi, città degli aperitivi e del cibo consumato ad ogni ora del giorno e della notte. Milano che non si ferma perché non ne avrebbe neppure il tempo.È nel suo codice genetico e nella sua forma urbana la metamorfosi e il cambiamento, nulla sta fermo per sempre, tutto può accadere o semplicemente finire e scomparire, senza apparenti traumi. E in questo suo mutare la città è sempre stata capace di lanciare un messaggio assolutamente liberatorio.Se la città cambia, anche tu puoi cambiare, se la città rinnega il suo passato, anche tu puoi rinnegare qualcosa di te. Se la città si trasforma anno dopo anno, se non è schiava della sua storia, del suo perduto splendore, se non vive di nostalgie e di conservazione del patrimonio ereditato, anche tu, qualunque storia abbia, da qualunque sperduto sud tu venga, qualunque vita tu abbia vissuto, puoi cambiare, puoi diventare quello che vuoi, puoi diventare quello che altrove non ti concedevi (o non ti concedevano) di essere.  

Città che plasma e che trasforma

Milano non è città conservatrice, accoglie il cambiamento, muta e trasforma ogni cosa, reinventa e altera. Forse è proprio per questo che attira ancora tanti giovani, perché non reclama un codice, un’adesione ad una norma prefissata, ammette tutte le eccezioni possibili. Città che ti plasma, ti trasforma, ti resta nell’accento, nel modo di camminare, di affrettarti per le strade, di gesticolare.Basta guardare le ragazze, quelle che arrivano molto giovani dalla provincia per studiare e poi non se ne vanno più. Bastano pochi mesi per vederle cambiare passo e assumere quella tipica andatura da ragazze di pianura, quella leggera cantilena nella voce e i modi di fare delicatamente frettolosi.Bastano pochi mesi per notare che iniziano a vestirsi in modo diverso e spesso danno un taglio ai capelli (e alla propria vita precedente). Giovani ragazze che arrivano in città, per lavoro o per studio, e cambiando abitudini cambiano sé stesse, perché cambiare città le cambia. La città plasma e libera, consente alle persone di essere diversamente se stesse, senza destare commenti né curiosità. Quella trasformazione che a tante ragazze sarebbe impedita nei luoghi dove sono nate e cresciute e dove tutti hanno già un’opinione su di loro, in città avviene naturalmente e per emulazione. L’anonimato e la possibilità di muoversi in contesti sconosciuti e tra persone ignote sono condizioni privilegiate per inventarsi un nuovo modo di essere.Milano promette, fa immaginare, incanta e attira, talvolta illude che tutto sia possibile. Sei una giovane startup? Sei un ragazzo o una ragazza del sud in cerca di fortuna? Sei un investitore estero disposto a finanziare un’impresa innovativa? Vuoi fare un piccolo investimento immobiliare in una piazza sicura e senza rischi? Sei un giovane immigrato dai Paesi del sud del mondo e sogni una vita che ricomincia da capo?Milano è la città che ha saputo tenere insieme questo variegato mondo di sogni e di talenti. È la città che cambia pelle, che integra e rimescola. Sta tutta qui, in questa continua metamorfosi, la sua cifra contemporanea, quella che la distingue dalle infinite (e più provinciali) altre città italiane. Milano vive tradendo la sua storia, scrive e riscrive negli stessi luoghi, mescola, trasforma e profana, innalza e distrugge, lascia spazio al nuovo, si ibrida. Milano rifugge ogni racconto coerente. Il suo canone è non avere canone. La sua bellezza è sfuggire ad ogni metrica.  

Qualcosa si è rotto

Eppure, qualcosa di radicale è accaduto con la pandemia, che ha inferto un colpo molto forte alla comunità dei suoi cittadini. Sono emerse con più contraddizione le differenze di reddito, le povertà – come racconta ogni anno il Rapporto Caritas – sono aumentate le diseguaglianze, il costo della vita (mangiare, avere una casa, accedere ai servizi, poter contare su cure di qualità) è cresciuto in modo così intenso da rendere difficile vivere in questa città anche a fasce di popolazione un tempo benestanti, quel ceto medio che oggi fatica a mantenere gli standard di vita del passato.L’esperienza della pandemia, che si intreccia a quella della crisi climatica e geopolitica, ha messo a nudo un aspetto che forse prima appariva meno evidente: quella promessa di benessere e di realizzazione personale non è più universale, non è più destinata a tutti.Così oggi la città si nutre di un racconto dissociato. Da un lato, la città che è tornata a muoversi, è tornato il traffico, i cantieri non si fermano, gli investimenti si moltiplicano, sono tornati i turisti e i prezzi delle compravendite immobiliari conoscono un’intensità che in città non si vedeva da anni; dall’altra, cresce lo scollamento tra le attese e le promesse e il malessere diffuso delle persone, soprattutto dei più giovani. La narrazione pubblica e dell’amministrazione insiste soprattutto sugli elementi di successo e di rinascita ma fatica a dare voce a quel malessere diffuso che diventa vuoto di senso e mancanza di speranza.Non è difficile per chi ami Milano e la sua gente percepire una stanchezza collettiva da cui pare non riusciamo a riprenderci. In qualcuno questa stanchezza sprofonda piano piano nella depressione. Una studentessa, tra le molte, mi racconta che la sua voglia di vivere è scomparsa dalla sera alla mattina. Si è ritrovata muta in casa, senza riuscire a parlare per mesi. Mi racconta che durante le ultime lezioni non riusciva neppure a cogliere il senso di quello che raccontavo. Un buio della mente e dei sentimenti. Ciascuno di noi, se attento, raccoglie storie di persone che non ce la fanno, le cui ferite hanno più a che fare con la mente che con il corpo.In tutti l’isolamento, la minor interazione con gli altri, il confinamento a casa ha innescato indolenza e pigrizia. Davvero siamo tutti immersi in una sorta di “stato di sospensione permanente” che altera i nostri equilibri e ci procura un malessere a cui non riusciamo a dare un nome: stanchezza ma anche fatica a dormire, irritabilità ma anche latente tristezza, pigrizia nel metterci in gioco nelle relazioni ma anche un sentimento di impotenza.  

Una città, due racconti dissonanti

La città tiene ben distinti questi due racconti: quello del successo e delle rendite e quello della crisi che non trova risposte. Una forma di dissociazione che rischia di innescare conflitti, di alimentare il malessere degli esclusi, dei senza voce, dei non rappresentati nella scena pubblica.In quasi due anni dall’inizio della pandemia la città ha continuato a perdere abitanti. Non sono i grandi numeri registrati durante la pandemia quan- do più di dodicimila residenti si sono allontanati dalla città scegliendo di vi- vere nelle seconde case o hanno fatto ritorno nelle città del sud Italia o nella provincia, spinti dalla possibilità di lavorare da remoto, ma fanno notizia le storie di giovani milanesi in libera uscita.È la storia di Lorenzo Lodigiani che sui social ha raccontato la sua decisione di andarsene. “Me ne vado da Milano. Anzi, a dirla tutta me ne sono già andato. Venerdì mi sono preso la giornata, ho fatto i pacchi, e ho fatto il trasloco. Ho deciso di dare priorità al mio benessere fisico e mentale, e a Milano non sentivo di poterlo fare. Milano è una città che chiede tanto, e che sicuramente dà tanto, ma post-Covid non ho più visto tutti questi grandi vantaggi. Milano non è sostenibile per un giovane aspirante imprenditore: il costo della vita non mi ha mai permesso di uscire la sera senza prima farmi i calcoli su come quell’uscita avrebbe impattato sulle mie finanze. Milano è sicuramente molto efficiente, ma per certi versi scomoda a mio avviso: se non hai budget per vivere in centro vivi in periferia dove i servizi non sono gli stessi, e dove per arrivare ovunque tu voglia andare devi comunque mettere in conto mezz’ora buona, e ammetto che dopo lunghe giornate di lavoro il pensiero di prendere e cambiare metro o bus ha messo in difficoltà la mia voglia di uscire. La verità è che ho a lungo cercato motivi che mi facessero rimanere a Milano, ma al momento non ci trovo un senso per me”.Non è un caso isolato. È diffusa la delusione per quello che Milano ha promesso e non ha saputo mantenere. A lasciare la città sono soprattutto giovani e giovani famiglie prefigurando un paradosso di cui la politica locale non potrà non tenere conto: sono proprio i giovani, giovani creativi, capaci di impresa, attratti a Milano dalla sua promessa di libertà e possibilità di intrapresa, quelli che hanno fatto di Milano Milano (città degli eventi, della creatività, delle week tanto per capirci) che oggi rischiano di venire espulsi.Un processo di allontanamento alimentato certamente dai prezzi fuori controllo del mercato abitativo (che fa già evocare una nuova bolla immobiliare) e dal costo della vita – come racconta Lorenzo – ma che nasce da un forte sentimento di disillusione più profondo.  

Il bisogno di riallineare le nostre vite

Se per tutti la pandemia è stata un potente detonatore di frustrazioni tenute a bada e di bisogni non espressi prima, per i più giovani questa spinta diventa impellente necessità di riallineare le dimensioni dell’esistenza: tempo – vita privata – lavoro – natura – ambiente di vita – senso.Se guardiamo al mondo dalla prospettiva incerta (e tormentata) ma anche liberatoria dei giovani potremmo dire che il cambio di paradigma rispetto alle generazioni precedenti c’è già stato. E le parole successo, realizzazione di sé, soddisfazione, hanno perso tutto quel titanismo che avevano ancora per noi adulti: una linea del tempo con una sola direzione, solcata da + a significare accumulazione, crescita ad oltranza, aumento lineare, a scapito della qualità di vita e degli impatti negativi sull’ambiente.È forte il desiderio di nutrirsi di sentimenti positivi e edonistici, legati al piacere, al senso, alle motivazioni intrinseche, alla soddisfazione di bisogni fondamentali della nostra vita, ad una promessa di miglioramento. Ma questa promessa si lega a valori e a scelte di vita che contemplano la natura e le sue risorse finite. È allargamento delle nostre facoltà immaginative ed esplorative, che ci portano a pensare plausibile produrre ricchezza dagli scarti, vivere in città senza auto, trasformare le città in spugne capaci di resistere alla siccità e alle inondazioni provocate dai cambiamenti climatici, produrre ambiente e riportare natura dove l’abbiamo tolta.  

Una città al bivio

La città è a un bivio (e la questione interpella in primis la sua ammini- strazione ma anche le grandi istituzioni locali, le Fondazioni, le Università, la Chiesa e il Terzo settore). Può scegliere, come tutti i segnali finanziari e immobiliari fanno pensare, di abbandonarsi all’ebbrezza di una stagione di nuova e intensa produzione edilizia, di crescita della rendita, di grandi eventi internazionali capaci di portare ricchezza e nuovi investimenti, mettendo tra gli effetti collaterali il sacrificio di una generazione di cittadini giovani che andranno altrove. Oppure dovrà mettersi in ascolto dei bisogni che salgono prepotenti dai cittadini e danno segnali molto chiari. Non si può divulgare il racconto di una città green, dove si piantano milioni di alberi (programma Forestami ispirato da Stefano Boeri), attenta alla salute e al benessere dei cittadini e continuare ad avere livelli di inquinamento dell’aria che fanno ammalare; promettere spazi per una mobilità lenta e non investire su mezzi pubblici e piste ciclabili; invocare con slogan la città dei “quindici minuti” e non porre attenzione ai servizi per la salute, alla qualità di vita nei quartieri, alla pulizia delle strade, alla sicurezza degli spazi comuni; attirare con le sue università studenti da ogni parte d’Italia e dall’estero e poi negare il diritto alla casa, ad una casa confortevole e ad un prezzo accessibile.Per troppi anni ci siamo accontentati delle parole senza azioni, delle azioni senza politiche, delle politiche senza cambiamenti radicali. Forse è venuto il momento di ascoltare e prendere la parola, di dire e di chiedere anche quando si risulta impopolari. Che queste pagine di questo Rapporto sulla città 2022 – in chiave collettiva, personale e militante – possano segnare un inizio.


Il «Rapporto sulla Città 2022 - La Milano che siamo, la Milano che sogniamo», realizzato dalla Fondazione Ambrosianeum è scaricabile sul sito francoangeli.it

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