Saperi e competenze di chi inventa i nuovi luoghi che abiteremo

Con il mio minimalismo lessicale da microcosmi traduco il fantasmagorico titolo del libro di Elena Granata Placemaker nel più provinciale “Il segna posto”. Spero non si offendano Elena e quelli che “segnano il posto” inteso come luoghi, come spazio del vivere, dell’abitare, del lavorare sul territorio nell’epoca dei flussi dell’iper modernità che impone il titolare con il linguaggio dei flussi: Placemaker. Il sottotitolo spiega: sono gli inventori dei luoghi che abiteremo. Anzi, il libro va letto come segno di speranza, oserei dire di rivolta, di quelli che stando in basso e che hanno come destino il subire e vogliono un posto a tavola dove dire e far dire la loro a chi abita la città che viene avanti disegnata dai flussi e anche la pandemia è un flusso («il virus grande urbanista») che ha fatto «sociologia delle macerie» di tanti fantasmagorici progetti urbani da archistar. Sembra un libro di architettura ma è molto di più, di sociologia urbana e territoriale almeno per me. Nel suo scavare e raccontare quel pullulare di vite terziarie minuscole che, ibridando saperi e competenze da “architetto condotto” in empatia con i luoghi, con la coscienza di luogo, ci evoca quel sommovimento operoso di un margine che si fa centro, ricercando senso del progetto, direbbero gli architetti, dai piccoli comuni alle città medie alle periferie e ai centri delle aree metropolitane da scomporre e ricomporre. Il tutto evocando la mobilitazione e l’interrogarsi del mettersi in comune, del fare comunità adeguata ai tempi nella metamorfosi della città e del territorio che è fatto di intreccio, non di separazione tra margine e centro._________Articolo completo su: ilsole24ore.com Di Aldo Bonomi

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