Sardine: senza bandiere e senza logo
È il tempo delle piazze, delle piazze della società civile. Piazze in cui stare stretti come sardine. Una metafora marittima molto eloquente: le sardine hanno forza solo se stanno insieme, se si stringono in un nuovo patto di cittadinanza.Sono bastati sei giorni a quattro trentenni – Mattia Santori, Roberto Morotti, Giulia Trappoloni e Andrea Garreffa – per alterare le modalità di una discussione politica ormai sclerotizzata.Si sono dati appuntamento la scorsa settimana in piazza a Bologna, con una sorta di “passaparola” digitale, hanno chiamato a raccolta giovani e meno giovani, cittadini che fino a quel momento erano rimasti in panchina, oppressi dalla furia dell’odio che in questo ultimo anno e mezzo ha dominato la dialettica politica ma ancora incapaci di reagire. Un convocazione leggera, senza bandiere, senza loghi, senza partiti. In una settimana la loro voce e il loro stile hanno ispirato decine di altri flash mob pacifici in ogni parte del Paese, da Sorrento a Palermo, da Reggio Emilia a Perugia, Avellino, Milano, Torino. Si firmano con il nome “6000 sardine”: non sono un movimento politico, né un’associazione, né un gruppo organizzato. Forse lo diventeranno. Staremo a vedere. Una cosa è certa. Comunicano in modo completamente diverso. La politica è stata saturata da contenuti aggressivi, da modalità rivendicative, dalla costruzione continua di un nemico contro cui scagliarsi (meglio se debole, povero straniero, emarginato). Ma questa dialettica devasta il corpo sociale, ne minaccia la coesione e la tenuta. Per questo le Sardine sorridono, hanno slogan ironici e fantasiosi, propongono un immaginario pacifico. Danno voce alla realtà, una realtà sottorappresentata dai media, una realtà positiva e piena di vitale energia. Quella fatta di persone che si impegnano, che lavorano, che resistono alle difficoltà facendo rete. Partono dalla premessa che ci sia bisogno di alleggerire le tensioni e proporre formule comunicative positive e dialogiche.Le Sardine danno voce ad un’Italia normale, quella che abita i territori della quotidianità, gli insegnanti che resistono nelle scuole, i ricercatori, gli educatori, i giovani imprenditori, quei cittadini che si occupano di ambiente.«Per troppo tempo avete tirato la corda dei nostri sentimenti. L’avete tesa troppo, e si è spezzata. Per anni avete rovesciato bugie e odio su noi e i nostri concittadini: avete unito verità e menzogne, rappresentando il loro mondo nel modo che più vi faceva comodo. Avete approfittato della nostra buona fede, delle nostre paure e difficoltà per rapire la nostra attenzione. Avete scelto di affogare i vostri contenuti politici sotto un oceano di comunicazione vuota. Di quei contenuti non è rimasto più nulla. Per troppo tempo vi abbiamo lasciato fare», scrivono nel loro primo Manifesto collettivo. Somigliano, per linguaggio e modalità di azione, ad altri movimenti dal basso. Pensiamo alla Generazione-Greta. Sotto la spinta propulsiva una giovane studentessa svedese, ragazzi molto giovani sono scesi nelle piazze di tutto il mondo facendosi portavoce – pacificamente e in modo creativo – di un nuovo ambientalismo. La crisi climatica, nei suoi aspetti ecologici, sociali e politici, è al centro di un movimento dal basso che ha mobilitato ragazzi dei Paesi ricchi d’Europa, come dei Paesi più poveri, dove gli effetti della crisi si stanno già facendo sentire in modo consistente. Qui sta la forza di Greta, milioni di ragazzi sono scesi in piazza con debole motivazione ambientalista e attraverso la partecipazione ad un evento collettivo sono diventati ecologisti.Pacifiche e svincolate dalle forme tradizionali di impegno politico sono anche le piazze del malcontento politico, che nascono da un dettaglio che potremmo considerare marginale, come l’aumento di una tariffa nel trasporto pubblico come a Santiago del Cile, o nei costi della telefonia, ma che nascondono invece ragioni profonde, nelle diseguaglianze che non trovano voce, né progetto politico. È una domanda di dignità di vita che porta in strada anziani, giovani e giovanissimi a Beirut, con forme di mobilitazione non partitica. Così a Hong Kong, a Quito, a Teheran, a Haiti. Sono le piazze della mobilitazione via smartphone, come le definisce Marco Dotti, «basta un dove, un’ora, una data e una rete atipica – talvolta inconsueta anche per le autorità di regimi ben poco tolleranti – come un servizio di file sharing, su cui caricare i pattern e i format per iniziare».«Siamo un popolo di persone normali, di tutte le età: amiamo le nostre case e le nostre famiglie, cerchiamo di impegnarci nel nostro lavoro, nel volontariato, nello sport, nel tempo libero. Mettiamo passione nell’aiutare gli altri, quando e come possiamo. Amiamo le cose divertenti, la bellezza, la non violenza (verbale e fisica), la creatività, l’ascolto». Le Sardine nascono dalla rete, nascono con la rete, ma non restano intrappolati nella rete. Per questo sono assolutamente promettenti come formato (replicabile) e come tono (creativo e positivo).