Scuole dell'infanzia di Milano. Una questione politica

Io non mi do pace.
Ho davanti a me una bambina di tre anni che l’anno prossimo non potrà andare alla scuola dell’infanzia. Non parla ancora italiano, come fa correntemente suo fratello che di anni ne ha sei e da tre anni va come tutti i bambini all’asilo. Non lo parlerà verosimilmente neanche nei prossimi tre anni, a casa con la sua mamma egiziana, che per lo stesso motivo non potrà frequentare una scuola di italiano.

Parlo da madre di tre figli nei servizi per l’infanzia di Milano, ma soprattutto da ricercatrice in pedagogia impegnata da anni su questi temi (tra gli altri libri, “Pedagogia delle diversità. Come sopravvivere un anno in una classe interculturale“, Carocci 2016).

Per la prima volta che io ne abbia memoria, Milano non garantisce a tutti i propri bambini, in piena e dilagante crisi demografica, un posto alla scuola dell’infanzia.
Si tratta di bambini in grande parte stranieri, figli di madri che non lavorano o non hanno un regolare contratto di lavoro, per i quali la scuola dell’infanzia è cruciale.

 

Perché lo è?
Le nostre ricerche lo confermano da anni, i bambini figli di immigrati nati in Italia grazie alla scuola dell’infanzia hanno la possibilità di apprendere la lingua italiana, ma anche i rudimenti della cultura e del vivere in collettività, che costituiscono la base fondamentale per il successivo successo scolastico.
In questo modo partono nettamente svantaggiati rispetto ai loro coetanei italiani, col rischio di un gap che mai potrà essere colmato.
Il problema si ripercuote ovviamente su tutta la classe e non soltanto su questi bambini.
Gli uni e gli altri perdono l’occasione di crescere fianco a fianco in un’età fondativa della vita, apprendendo i valori fondamentali del rispetto dell’altro e del vivere insieme.

Ringrazio Laura Galimberti, Assessore all’Educazione e Istruzione del Comune di Milano, per aver risposto al mio appello e avermi dato alcune spiegazioni. Il Comune ha ritenuto opportuno creare classi più piccole nel caso in cui si certifichino bambini disabili in corso d’anno (con la conseguente necessità di avere classi più piccole).
Non mi è chiaro però quando le classi e le graduatorie verranno riaperte e sarei grata di una nuova risposta.

Al di là delle questioni organizzative e di graduatorie, la questione è politica. E per questo mi appello direttamente al mio sindaco Beppe Sala.
Come possiamo dirci una città aperta e inclusiva se una parte dei bambini della nostra città, verosimilmente la più povera e priva di strumenti economici e culturali, resta fuori dai servizi per l’infanzia 3-6 anni?

La scuola dell’infanzia è un potente e unico strumento di integrazione, se perdiamo questa occasione non potremo recuperarla in seguito! Gli impatti sociali di questa scelta saranno molto più forti di quanto riusciamo ora ad immaginare.

Condividi il post