Territori a rischio
Territori a rischio. Borghi e paesi del “cuore d’Italia” in pericolo: da cosa?
Ormai è certo: il rischio non è un dato…certo! Non è misurabile in senso assoluto. Dipende certamente da condizioni ambientali e geologiche, ma stiamo scoprendo delle faglie e fragili latenti che si snodano da anni tra dinamiche demografiche e sociali, economiche e politiche, alimentandosi e sostenendosi amplificando i livelli di pericolosità.
Cosa è più rischioso? La vita delle persone messa in gioco in modo repentino, i danni materiali provocati da eventi naturali previsti o prodotti dall’incuria del territorio? O ancora, il progressivo invecchiamento della popolazione in una data regione e l’esodo dei giovani, che come in una lenta agonia smantellano tracce secolari di vita e con esse la manutenzione del territorio stesso?
E non saranno forse da inserire nella lista dei rischi anche l’incapacità di pensare, sognare, guardare al futuro con rinnovata energia, creatività? Di fare rete, di organizzare nuove modalità d’uso, di innestare tradizioni con nuove tecnologie?
Domande cui andrebbero date riposte, che per ora che alimentano la sensazione che vi siano declinazioni del rischio non elaborate a sufficienza. Alcuni rischi sono immediati, facili da individuare e le risposte, per quanto possa sembrare paradossale, altrettanto facili, dal sapore tecnico, amministrativo, normativo e se giudicate secondo tali categorie non all’altezza, facilmente prescrivibili nell’ambito giudiziario. Altri rischi sono latenti. Spesso sono radice dei primi e le risposte esulate, difficili. Impongono strumenti diversi, scavi e carotaggi non solo sul terreno fisico. Qualcuno di questi rischi viene occultato, qualcuno forse evitabile, altri sono sottovalutati e non messi a sistema con altri rischi ma anche con altri fattori.
Il rischio e i rischi sono relativi, e possiedono una declinazione anche culturale, capace di spiegarne le cause, le ragioni e le variabili prima che formule e statistiche per accertarne i parametri. Il rischio delle alluvioni può essere spiegato prima che nel disastro, nell’abbandono di cura del territorio, delle scelte di camp sul come e dove vivere. il rischio del terremoto può essere causa del rischio dovuto alla mancanza di immissione nel disegno nelle tecniche di costruzione di tecnologie e materiali diversi, di cultura del restauro attenta ad altre dinamiche, al riposizionamento di economie e popolazione, di insediamenti e pratiche. Un discorso che trascina tante altre cose, ben più voluminose dei cumuli di macerie e di casette da dover gestire nel dopo-catastrofe.
Sarà importante prima o poi una seria riflessione sui rischi specifici, relativi, impellenti e da sfatare; magari attraverso una nuova narrazione dei luoghi e delle sfide e opportunità nascoste magari tra le pieghe (o le piaghe?) delle stesse sensazioni di rischio; scavando in vulnerabilità non riferibili solo ad eventi naturali imprevedibili. Si è vulnerabili anzitutto per mancanza di accesso a risorse, perché appaiono insufficienti le categorie culturali per l’elaborazione di strategie, per carenza di strumenti istituzionali, per informazioni latenti o difficile da rintracciare e, paradossalmente, in un mondo iper-connesso ci si sente tagliati fuori.
Guardare al futuro, preparandolo oggi
Una nuova narrazione dei luoghi: qual’è stata finora? I paesaggi impreziositi da borghi, castelli, pievi, fattorie e abbazie sono stati in questi ultimi anni rappresentati come laboratori creativi, tra arte e cultura, sempre più spesso esaltandone salubrità e cibo; intrecciando storie capaci di raccontare natura e cultura, spesso aggrappate tra le maglie della nostalgia, con qualche suggestione mitica sconfinando in sdolcinature dai tratti bucolici, stucchevoli, stereotipati; in narrazioni che attraversano senza soluzione di continuità fiction popolari, brand pubblicitari, sagre, reti di borghi “autentici” e articoli su riviste internazionali, programmi televisivi della domenica o in prima serata; “meraviglie” e “prodotti tipici” che celebrano questo strano Stivalone geografico cosi ricco e denso di tradizioni e di storie: il Paese delle Cento Città, il Museo a cielo aperto, il Giardino d’Europa.
Mentre si narrano, questi stessi luoghi si spopolano, invecchiano, cedono. Sfide che poi si misurano nelle cifre del disastro ambientale, spesso con le categorie della catastrofe e paradossalmente, mentre si celebra il mito dei borghi e del bel paesaggio, crescono con investimenti importanti le reti infrastrutturali di alta velocità a autostrade, che lasciano colline, vette e laghi, valli, castelli e paesini sullo sfondo come in uno scenario, come in poster da ammirare, dai finestrini.
Oltre il rischio, oltre gli stereotipi
Le valli appenniniche del centro Italia rimangono cosi regioni remote. La contraddittoria narrazione diventa evidente nella grammatica dei tessuti edilizi, nel dissesto delle strade, nella fatiscente presenza di apparati amministrativi incapaci di gestire una complessità che travalica le sfere di competenza. Mentre si rimettono in piedi con elaborate tecniche di restauro imponenti palazzi storici e cattedrali crescono nuovi insediamenti fatti di casette e alloggi vari, di strutture temporanee lungo le vie di transito principali, su ex campi di calcio, in spianate alluvionali, nelle mancate zone industriali. Mentre si rimettono in sesto metri quadrati disponibili per le abitazioni ci si trasferisce sulla costa e un nuovo paesaggio non ancora narrato, emerge lentamente, intrecciato da un’economia dai tratti surreali, surrogata o sovvenzionata, visibile in strutture per il soccorso e la protezione, tra sgravi fiscali e incentivi, tra scavi e rimozioni di macerie, container e impalcature protettive.
E le Istituzioni cosa fanno? E’ la domanda di rito. Tra contraddizioni e ritardi, si sono mosse con interventi per i centri colpiti dai terremoti che in questi anni hanno devastato a più riprese il “cuore d’Italia”. Spinta dall’onda emotiva degli stessi eventi sismici, è sbocciata improvvisa, la legge sui “Piccoli Comuni”. Sconosciuta al grande pubblico, tocca forse uno dei nodi nevralgici su cui ruota la sopravvivenza di questi territori ponendo l’accento sulla “promozione dell’equilibrio demografico”, di un Paese che in questi “piccoli” borghi -quasi il 70% dei comuni italiani-, vede concentrati oltre 11 milioni di abitanti, che sono “a rischio”: si tratta di capire adesso di quale rischio si tratta.
Etica o etichette?
Ci si orienta sempre alla “politica”, e a quelle risorse che rendono possibili azioni concrete attraverso la garanzia di norme che sembra galleggino in una normalità di fatto, che le rende vane, complicate, di difficile attuazione.
Ci si muove in modo da oltrepassare quelle norme, aggirarle, usarle. Non sempre con le solite cattive intenzioni. Semplicemente perché sono dispositivi inadatti, incapaci di afferrare e mordere le questioni impellenti, necessarie, normali.
Sarebbe necessario uno scatto, una buona dose di energia che rimescoli in modo diverso risorse, passione e coraggio, per superare difficoltà, barriere, divergenze, diffidenze. Soprattutto le facili etichette attraverso le quali si traghettano progetti sommari e superficiali che non rischiano di affrontare i veri rischi.
Per queste ragioni, occorrerebbe misurare oltre l’interesse e le possibilità, il desiderio e l’impegno delle parti in gioco: della società civile, dei circuiti culturali e professionali. Magari favorendo prima ancora di norme e leggi, la normalità dell’incontro e del confronto attorno ai temi-etichetta tra rilanci e promozione, quanto sul confronto etico su programmi e progetti per chi decide di rimanere e vivere, sulle innovazioni da apportare a modelli di convivenza, nelle economie, nel disegno di habitat. Su percorsi da condividere e su processi da implementare e accompagnare con pazienza e determinazione, con coraggio e creatività.
D’altra parte, assistiamo ad una vera e propria silenziosa trasformazione che porterà certamente nuove occasioni e opportunità: nuovi flussi di informazione e persone, nuove tecnologie, sia per il commercio come anche per lo scambio di informazioni, per la trasmissione dei dati, per la manutenzione dello stesso territorio e delle sue economie; per nuove fonti di energia.
Rimane il territorio come fatto concreto, “statuto” e dato oggettivo dal quale ripartire e che occorre guardare con “occhi diversi”; essendo cambiata -snaturata- la realtà delle cose.
Con passione e con interesse si può dire qualcosa di nuovo e anche in certo modo, universale, magari a più voci: da quelle di chi il territorio di chi ci vive facendone l’esperienza quotidiana come anche di chi lo attraversa, e lo vive con ritmi diversi, pur con la stessa passione: professionisti e operatori dei più vari campi e settori.
Forse, queste voci e questo sguardo binocolare e sinottico sarà quello capace di scatenare visioni, e creatività, finora sconosciute.