La crisi del modello di sviluppo biellese, fondato su una monocultura e su un distretto uni-funzionale, è da tempo nota. Non si tratta di un caso isolato, l’involuzione economica della città di Biella è simile, per modalità e evoluzione, a quella della gran parte dei distretti italiani dove la delocalizzazione industriale degli anni Novanta e la contrazione degli spazi di crescita culturale e di innovazione hanno decretato la fine di un sistema produttivo e sociale insieme.Il territorio biellese, osservato oggi, presenta tuttavia una particolare organizzazione su cui vale la pena porre l’attenzione.Questi comuni più piccoli e di corona, più che il centro urbano di Biella, offrono oggi possibili appigli e spunti progettuali. È lì che dobbiamo saper guardare, uscendo da una logica geografica strettamente christalleriana (gerarchia tra centro più grande e centri minori, con un decrescere di servizi dal centro alla periferia), per cui lo sviluppo procede sempre per cerchi concentrici dalla città dotata di servizi e risorse, ai comuni circonvicini, fin sopra a quelli delle valli.Oggi sono possibili – anzi necessarie – altre geografie, che partano dalle risorse diffuse nei territori e dalle reti che possono venire a crearsi.