Il senso delle donne per la città | Intervista a Elena Granata

«Abbiamo costruito luoghi dove dovremmo poter trovare pace e invece sono pieni di confusione, come quegli ospedali dove la luce è troppa e il rumore pure, abbiamo rimosso ogni spazio di privacy e di contatto con la natura...»: lo nota Elena Granata nel libro Il senso delle donne per la città (Einaudi, pagine 186, euro 17,00). Che negli ultimi settant’anni gli edifici abbiano dilagato affastellati, generando ambienti a volte ostili in una sorta di diffuso inquinamento architettonico è lamentato da tutti. Ma Granata, urbanista del Politecnico di Milano nonché vicepresidente del Comitato scientifico delle Settimane Sociali dei cattolici italiani, vede aprirsi nuove prospettive: «Sono abituata a pensare in modo positivo. Oggi è cresciuta la sensibilità per l’ambiente – pur nel mare delle banalità e del “greenwashing” – così anche nel campo della progettazione si aprono nuove opportunità per le donne. Queste si sono sempre dedicate alla cura delle persone, all’accoglienza, agli spazi dell’intimità: cose che, un tempo considerate marginali, sono divenute di importanza strategica. Il mio lavoro è inteso a promuovere un nuovo impegno civile nell’architettura e nell’urbanistica. Essendo provato che l’ambiente influisce sullo stato d’animo e sulla salute delle persone, le città vanno riviste perché diventino confortevoli come le case. Ma ancora le troviamo piene di divieti: progettate per escludere più che per includere. Quando invece bisogna ritrovare il senso del vivere insieme». Lo spazio infatti è composto dalle relazioni tra le persone, e tra i loro corpi e l’ambiente fisico che li attornia...«Anche se non ce ne rendiamo conto, tutti i nostri sensi sono coinvolti. Non solo la vista, che è considerata prevalente: lo spazio ci entra nei polmoni, è circonfuso di aromi, abitato da suoni e rumori, ci dà sensazioni tattili... Si pensi solo alla differenza che si prova nel camminare su un marciapiedi asfaltato o su una superficie acciottolata, o nel trovarsi in una piazza con alberi frondosi e panchine che consentano di godere la frescura d’estate, piuttosto che in spiazzi desolati o in vie anguste piene di auto. Lo spazio è immersivo e ci riguarda tutti. E noi non siamo standardizzabili. Si pensi per esempio alle difficoltà in cui si imbatte una donna incinta: salire su un autobus, passare per una porta stretta, trovare sedili scomodi. Ma di cose come queste, per quanto sia noto che bisognerebbe favorire la maternità, non si parla». _____Intervista completa di Leonardo Servadio pubblicata su avvenire.it

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