Rigenerazione: istruzioni per l’uso. (Se Milano si salva da sola senza cacciare nei guai tutti gli altri comuni italiani)

Questo testo è stato redatto da Alessandro Coppola, Elena Granata, Arturo Lanzani, Antonio Longo, Paolo Pileri, Veronica Dini.

SINOSSIPremessa: la (vera) rigenerazione delle cittàLe città si trasforma lentamente, ma alcuni cambiamenti sono già evidenti: carenza di alloggi e servizi, disuguaglianze, problemi ambientali. L’urbanistica deve rispondere a questi bisogni con strumenti adeguati, senza aumentare il consumo di suolo.Stratificazione di regoleLe città si sono evolute con un sistema normativo complesso, che integra leggi nazionali, regionali e prassi consolidate. Questo quadro regolativo può essere aggiornato, senza tuttavia tradire i principi costituzionali e l’equilibrio tra pubblico e privato, raccogliendo le sfide reali che le città devono e dovranno affrontare, a partire dal cambiamento climatico.

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DIECI DOMANDE (E RISPOSTE) 1. I piani attuativi servono ancora?Sì. Sono strumenti fondamentali per regolamentare le trasformazioni urbane, in modo costituzionalmente orientato e sostenibile dal punto di vista ambientale e sociale, definire standard urbanistici e idonee compensazioni a fronte dei carichi urbanistici introdotti, garantire equilibrio tra pubblico e privato. Abbandonarli significherebbe favorire un’espansione edilizia priva di controllo.Non è neppure vero che i piani attuativi rallentano la realizzazione di (buoni) progetti: se affrontati con trasparenza e adeguata organizzazione, permettono una gestione equilibrata dello sviluppo urbano, trasparente e partecipata, evitando e prevenendo conflitti e distorsioni del mercato.Neppure possiamo separare edilizia e urbanistica: la deregolamentazione ha favorito interventi edilizi massicci, spesso privi di un’adeguata lettura della città e dei suoi bisogni, senza una regia, che hanno generato aumenti del carico urbanistico senza adeguate infrastrutture e compensazioni. 2. Possiamo eliminare gli oneri di urbanizzazione?No. Gli oneri garantiscono la realizzazione di servizi pubblici essenziali. Senza di essi, il peso delle nuove edificazioni ricadrebbe esclusivamente sui cittadini e sul bilancio pubblico, contravvenendo, tra l’altro, agli artt. 9, 41 e 42 Cost.. 3. Le leggi urbanistiche possono essere reinterpretate a livello locale?No. Il sistema normativo si basa su principi consolidati, interpretati, anche in chiave evolutiva, da decenni di giurisprudenza di ogni grado e ordine. Ammettere interpretazioni difformi da parte di organi amministrativi locali, neppure sottoposti al vaglio degli organi politici, altera l’ordinamento democratico, crea disuguaglianze e alimenta un sistema non trasparente. 4. Si può indifferentemente cambiare la destinazione d’uso di parti della città ed equiparare ristrutturazione e nuova edificazione?No. Questa interpretazione non trova giustificazione nemmeno alla luce delle più recenti modifiche del DPR 380/2001: la giurisprudenza è chiara nel prevedere che il cambio di destinazione d’uso richieda un permesso di costruire, come stabilito dall’art. 10, comma 1, lettera c, dello stesso DPR. Inoltre, un uso eccessivamente estensivo della ristrutturazione edilizia entra in conflitto con i principi relativi agli standard urbanistici e agli oneri di urbanizzazione, che dovrebbero essere proporzionati all'effettivo incremento del carico urbanistico.In generale, la sostanziale equiparazione tra ristrutturazione e nuova edificazione ha generato a Milano una disarmonia normativa, determinando trattamenti procedurali ed economici ingiustificatamente diversi per interventi che, di fatto, sono spesso identici.In questo contesto, non si può ritenere che le convenzioni urbanistiche stipulate tra Comune e operatori privati possano sostituire il ruolo della pianificazione. Spesso, infatti, tali accordi non vengono sottoposti all’approvazione del Consiglio comunale o della Giunta e, in ogni caso, raramente contengono le garanzie e i vincoli tipici di un Piano urbanistico. Inoltre, il processo di formazione di queste convenzioni non assicura la trasparenza, la pubblicità, la partecipazione e il bilanciamento di tutti gli interessi in gioco, compresi quelli dei cittadini e dei residenti dei quartieri coinvolti. 5. Il Salva-Milano consentirà di risolvere le vertenze in atto?No. La legge crea nuove diseguaglianze e alimenta nuovi contenziosi (senza neppure definire del tutto quelli in corso a Milano), aggrava i bisogni essenziali dei cittadini che abitano i territori interessati (in termini di servizi pubblici, verde, mobilità, alloggi popolari, studentati, ecc.) e penalizza gli operatori cui sono stati applicati trattamenti difformi e più rigorosi. Crea inoltre danni erariali e minori entrate per le casse dei Comuni.Tutto ciò, comprometterà un sistema normativo che ha garantito, sino ad ora, coerenza e trasparenza nelle trasformazioni urbane di tutto il Paese. 6. Il Salva-Milano avrà impatti sulla salute dei cittadini milanesi?Si. Oggi, la sfida che (anche) l’urbanistica deve raccogliere si chiama, tra l’altro, OneHealth. Lo scorso agosto, nelle città italiane, si è registrato l’ennesimo aumento di decessi, di oltre 3500 vittime. La causa sono le isole di calore, dovute alla combinazione tra solo cementificato e occupazione degli spazi interclusi. Il Salva-Milano che, di fatto, favorisce il consumo di suolo e l’aumento del carico urbanistico di quartieri già soffocati dal cemento, comprometterà ulteriormente il diritto a un ambiente salubre dei cittadini - di tutta Italia. 7. L’interpretazione autentica contenuta nel Salva-Milano è legittima?No. Non solo, infatti, non si giustifica, considerando che non esiste alcuna reale incertezza interpretativa a livello giurisprudenziale: le leggi che la pdl interpreta (quelle del 1942, del 1968 e del 2001) sono chiare riguardo ai limiti dimensionali degli interventi sottoposti a piano attuativo, alla necessità di pianificazione attuativa per uno sviluppo armonioso e ordinato, alla definizione delle classi di intervento e alla ridefinizione delle stesse in relazione alle destinazioni d’uso.Tali leggi sono state utilizzate (con esiti positivi o negativi, a seconda dei casi) nei piani di tutte le città italiane; sebbene non abbiano garantito risultati ottimali ovunque, hanno comunque rappresentato un riferimento costante e un quadro di certezza per le amministrazioni, nell’interesse pubblico.Il disegno di legge, oltretutto, interviene su giudizi in corso - nell’ambito dei quali si registra, oltretutto, allo stato, un orientamento costante dei Giudici milanesi.L’unico elemento di discontinuità, in questo quadro, è rappresentato dalla prassi amministrativa che Milano ha deciso di adottare - in assenza di una reale giustificazione di carattere giuridico e tecnico, ma solo per perseguire propri obiettivi di carattere politico.Si tratta di una forzatura giuridica che contraddice espressamente la legislazione nazionale ed estende a tutta Italia pratiche illegittime e foriere di uno sviluppo incontrollato e pericoloso del territorio. Con l’aggravante di non avere neppure il carattere di una norma transitoria, in vista di un riordino della disciplina urbanistica. 8. La rigenerazione urbana ferma il consumo di suolo?Non nei termini in cui è stata portata avanti: anche in questi ultimi anni, Milano ha continuato a consumare suolo nonostante politiche asseritamente qualificate come rigenerazione urbana.Poiché i dati ISPRA sul consumo di suolo a Milano mostrano che la cementificazione è cresciuta a un ritmo di 18 ettari ogni anno, né discende, senza smentite, che l’edificazione in altezza nel modo attuato nel capoluogo lombardo non ha affatto fermato il consumo di suolo. 9. Esistono alternative al Salva-Milano?Sì. È possibile intervenire in via amministrativa. Revocando in autotutela le autorizzazioni rilasciate illegittimamente, riaprendo le relative istruttorie e approdando a nuovi provvedimenti, coerenti con la normativa nazionale e orientati ai principi costituzionali.Oppure, avviando programmi di giustizia riparativa che offrano compensazioni effettive e adeguate, non solo monetarie, ai singoli casi concreti nei quali le nuove edificazioni siano già state realizzate. 10. Cosa può imparare l’urbanistica da queste vicende?Che occorre garantire coerenza tra piani urbanistici e sviluppo edilizio, limitando distorsioni e garantendo trasparenza.Che occorre, altresì, orientare la pianificazione e le trasformazioni della città ai bisogni effettivi delle persone che le abitano. In un’epoca di crisi ecologica, climatica, sociale ed economica, l’interesse privato non può essere l’unico da considerare e neppure quello prevalente: è necessario preparare i nostri centri urbani agli impatti, inevitabili e drammatici, del riscaldamento globale e fare in modo che essi diventino realmente inclusivi. Per tutti. CONCLUSIONIÈ essenziale alimentare un dibattito serio su cosa significano rigenerazione urbana, beni comuni, sviluppo sostenibile e interesse pubblico, alla luce dell’inedita lunga emergenza che stiamo vivendo.È urgente che chi governa, pianifica e governa le città abbia visione e immaginazione.È necessario che i cittadini, che sono i principali attori del territorio e i destinatari di ogni intervento urbanistico ed edilizio, si attivino per rappresentare i loro bisogni e i loro sogni. E si organizzino per realizzarli, in modo cooperativo e innovativo.


1. La rigenerazione delle città

Città in cambiamento. La dimensione apparentemente lenta del cambiamento delle città Italiane ed europee in cui viviamo può apparire forse cosa di poco conto. Altri i problemi, altre le urgenze che muovono l’attenzione della maggior parte delle persone. Eppure i singoli segnali sono chiari. I dati, le cronache, le esperienze raccontano le città come luoghi difficili dove mancano alloggi e servizi abbordabili e accessibili, le eccellenze della contemporaneità si accostano a rovine antiche e recenti, luoghi di straordinaria bellezza ad altri senza alcuna cura e dignità. La qualità dell’aria è spesso pessima, l’acqua troppa o troppo poca, il verde urbano scompare progressivamente, la disponibilità e la qualità del lavoro è un problema costante nelle grandi città come nella provincia e nelle campagne. Nuove popolazioni, nuove condizioni demografiche, corrispondono a nuove paure ma soprattutto a nuove disuguaglianze sociali e povertà. Urbanistica. Tutto ciò non solo evoca questioni etiche e scelte politiche, ma mette in discussione diritti fondamentali tutelati dalla costituzione, che spesso vengono a mancare. Nelle relazioni reciproche, tra diritti e spazi, tra conflitti e accesso ai beni fondamentali, tra mercato e garanzie sociali, l’insieme delle questioni qui accennate costituisce la sostanza e la forma delle città.Le città sono un palinsesto materiale, edilizio, tecnologico, infrastrutturale, simbolico, esito di azioni di capitalizzazione secolari che accolgono, nel tempo, gli eventi della storia e le persone che vi danno vita. Alcune parti resistono, altre deperiscono. Alcune continuano a vivere, cambiando funzioni e abitanti, altre richiedono nuove trasformazioni e adattamenti, in un processo continuo di rigenerazione che non esclude, peraltro, consistenti fenomeni di consumo di suolo.L’urbanistica, ben oltre la semplice regolazione degli usi del suolo, la conservazione o la nuova costruzione di edifici e spazi pubblici e monumentali, è l’insieme di attività tecniche, politiche, culturali, civili che rendono possibile il governo e il progetto delle città, rispondendo ai bisogni dei cittadini e delle generazioni future, che mettono in relazione i tempi e ritmi brevi delle questioni attuali con quelli lunghi del patrimonio materiale e immateriale della storia e della natura. Investimenti e manutenzione ordinaria. Le città Italiane sono cresciute e invecchiate rapidamente, senza una adeguato rinnovamento. In gran parte del territorio italiano la modernizzazione è avvenuta senza un vero sviluppo sociale e civico e oggi ereditiamo servizi, scuole, edilizia pubblica, strade, reti di trasporto pubblico e reti tecnologiche urbane costruite nel passato – spesso molto bene – ma oggi non più adeguate. Sono gli spazi e gli elementi ordinari che formano le nostre città che da troppo tempo non sono più adeguatamente mantenuti, gestiti, se necessario sostituiti, entro i quali si innestano spesso fuori contesto, isolati e disconnesse, nuove parti ed eccellenze contemporanee: edifici, sistemi di trasporto pubblico, nuove reti tecnologiche, spazi pubblici. Vi è dunque una carenza e una domanda diffusa di interventi di sistema, di rinnovamento della città esistente attraverso la cura, la manutenzione, per rispondere realmente e in modo diffuso alle nuove esigenze sociali, ambientali, economiche. Per questo la rigenerazione urbana non si può limitare alla sostituzione edilizia di singole parti della città, alla bonifica dei suoli ove possibile, o a piantumazioni sporadiche e condominiali, ma deve essere un processo integrato e ambizioso, inevitabilmente complesso, che richiede programmazione e pianificazione integrando aspetti sociali, spaziali, ambientali.

2. Una stratificazione di regole

Regole e leggi. Come le città si sono formate nel tempo per aggiunte e cambiamento, cosi l’urbanistica del nostro Paese si fonda su una stratificata eredità di codici, di leggi nazionali e regionali, oltre che di prassi tecniche sedimentate che, in modo cumulativo, hanno creato un patrimonio ricco oltre che ridondante. Non si può tuttavia considerare questa eredità come un semplice fardello burocratico, un inutile apparato che ostacola il libero agire dei cittadini e delle imprese. L’apparato di leggi e regole include principi e valori fondamentali, che ne guidano l’interpretazione e l’applicazione nel rispetto della Costituzione. Non vi è dubbio che questa eredità oggi deve essere attualizzata per rispondere ai cambiamenti in corso e alle nuove necessità delle città, per facilitare e rendere più efficiente il modo di operare delle pubbliche amministrazioni, delle imprese e dei cittadini. Ciò richiede però visioni ampie e un’intelligenza politica in grado di guidare le innovazioni senza tradire i principi fondamentali rispetto delle fonti, avendo come obiettivo primo il diritto di tutti alla città intesa come bene comune, esito del rapporto equilibrato tra azione pubblica e privata. Analogamente, occorre discernere con competenza e onestà i veri cambiamenti della società e dell’ambiente, cui anche le città devono e dovranno far fronte.In questo quadro non esistono leggi desuete, ma sistemi in evoluzione coerenti con i principi della carta costituzionale. Il Codice Penale del 1930 e il Codice Civile del 1942, così come la legge urbanistica, pur essendo stati scritti in un contesto storico diverso, non sono certamente superati. Il problema principale oggi non è l’obsolescenza normativa, ma la crescente frammentazione delle leggi, che è il riflesso e l’esito della frammentazione sociale e territoriale delle città. La perdita di unità e coerenza dei codici, la proliferazione di norme, influenzate da interessi specifici e minoranze influenti, rende opachi i riferimenti ai principi generali delle fonti legislative. Per questo motivo è essenziale mantenere una forte attenzione ai valori fondamentali su cui si fondano la democrazia e la convivenza civile, ai principi costituzionali e civili su cui si basa la legislazione urbanistica nel tempo. Per riconoscere che, forse, se di aggiornamento le leggi urbanistiche necessitano, è nel senso di garantire più servizi pubblici e strumenti più efficaci per la tutela dell’ambiente e del territorio. Non per consentire ulteriore sviluppo, foriero di impatti ormai non più neppure compensabili. Ad esempio: il piano attuativo. Il Piano Attuativo è uno degli strumenti principali per attuare la rigenerazione urbana, coinvolgendo soggetti pubblici e privati in un dialogo collaborativo. Questo strumento consente di riqualificare aree urbane degradate e regolare lo sviluppo delle città, garantendone la sostenibilità, all’interno di un quadro normativo che tenga conto dell’interesse pubblico e collettivo. Si tratta di un dispositivo flessibile, adattabile alle circostanze, che si colloca all’interno delle regole e delle prassi stabilite dai Piani Generali e da altri strumenti di indirizzo urbanistico e di pianificazione (strategica, settoriale, ecc.), con cui interagisce e si integra. I piani attuativi non sono semplici applicazioni di norme, ma rappresentano occasioni di progettazione, partecipazione deliberativa, confronto e correzione di errori, oltre che strumenti per orientare le scelte generali. A livello europeo, i piani attuativi assumono denominazioni differenti: Programmes de Rénovation Urbaine (PRU) e Zones d'Aménagement Concerté (ZAC) in Francia, Bauleitplanung e Sanierungsgebiete in Germania, Local Development Plans (LDP), Masterplans ed Enterprise Zones nel Regno Unito, Planes Generales de Ordenación Urbana (PGOU) e Áreas de Renovación Urbana (ARU) in Spagna. Nonostante le diversità terminologiche e operative, questi strumenti riaffermano la necessità di una sintesi tra interessi privati e diritti collettivi, tenendo insieme la pianificazione a scala locale con il progetto edilizio.

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