Abitare. Un mondo in cerca di senso
Abitare. Un mondo in cerca di senso
Quel mondo produttivo che fabbricava cose di qualità e sapeva integrare famiglia, lavoro, territorio, in gran parte è ormai scomparso. Da qualche anno i grandi marchi hanno portato fuori Italia il grosso della produzione, lasciando sul territorio solo le funzioni dirigenziali e qualche fondazione benefica, e così, con effetto domino, è morto quel sistema di piccoli terzisti che vi lavorava intorno. Una sequenza di capannoni piccoli e grandi giacciono ormai deserti e abbandonati, nella Biella piemontese dei filati così come nella Santa Croce toscana delle pelli; entro un sistema di monocultura chi ha perso il lavoro fatica a trovarne un altro.
La produzione si è fortemente accentrata in mano a pochi, lasciando ovunque smarrimento e noia; sono sopravvissuti i grandi, sono stati polverizzati i piccoli. Il tutto è avvenuto senza un lamento, senza un grido di allarme. Come fosse ineluttabile, il tributo da pagare a una modernità tecnologica e immateriale.
Non l’abbiamo raccontata abbastanza quella metamorfosi minuta che ha investito il nostro Paese. L’abbiamo vista ma siamo stati distratti. Presi da quella cultura del nuovismo e del fatalismo che ci ha sempre sedotti. Ci siamo liberati in fretta della nostra agricoltura, certo povera e di sussistenza, nel grande passaggio d’epoca degli anni Cinquanta. Ci siamo dimenticati ancora più in fretta della nostra piccola e media impresa al passaggio del nuovo millennio. Ammaliati dall’avvento del terziario avanzato, dalla civiltà delle reti e dell’immateriale, non abbiamo capito che perdere quel sistema capillare di “casa e impresa” che ha sostenuto a lungo il nostro sistema economico, significava perdere molto di noi.
Tutto questo è particolarmente evidente nel territorio biellese, per decenni capitale mondiale della lana, riconosciuta come il distretto del tessile per eccellenza fin da epoca antichissima, che ha cominciato ad andare in crisi nei primi anni Duemila.
La monocultura che è stata sempre la principale fonte di ricchezza e di protezione per la popolazione è divenuta la principale causa della rovina del territorio, con ripercussioni evidenti sia sul sistema sociale che abitativo.
Il patrimonio abitativo, infatti, che per decenni è stata la forma più evidente della ricchezza collettiva prodotta oggi costituisce un peso per molte famiglie, che richiede investimenti e manutenzione al di sopra delle loro possibilità economiche. Da qui un diffuso e intenso abbandono anche del patrimonio abitativo privato.
Le implicazioni ambientali e sociali di questo abbandono a macchia di leopardo non sono ancora state oggetto di ricerche ma richiederebbero una grande attenzione da parte degli attori pubblici. Lo sfrangiamento del patrimonio, il suo abbandono genera territori insicuri, senza vigilanza e cura.
La crisi delle fabbriche è divenuta anche una crisi del territorio, proprio quel territorio di valore, con qualità ambientali e di biodiversità, con potenzialità micro-naturalistiche e di pregio naturalistico che potrebbero costituire una base di partenza per nuove economie nascenti.
La questione del patrimonio privato, il suo legame con la struttura sociale, i cambiamenti sociali, l’invecchiamento della popolazione e naturalmente la nuova domanda abitativa sono strettamente legate.
E’ qui che si colloca l’agire dello Sportello Casa. Un progetto integrato che lavora sull’abitare come una dimensione trasversale in grado di fare emergere l’offerta sommersa da parte dei proprietari, una domanda sociale e diffusa che non trova risposte in un mercato dell’affitto che in questo contesto è stato meno articolato e necessario rispetto ad un normale contesto metropolitano.