Un nuovo pensiero creativo per ripensare le città

Un nuovo pensiero creativo per ripensare le città

L’articolo di Elena Caselli pubblicato su focolaritalia.it

Sono le 19.30 di uno dei primi giorni di vero freddo milanese. Piano piano sempre più persone entrano timide e infreddolite nella sala convegni di via Rovigo 5 a Milano.C’è il tempo per conoscersi, scaldarsi, tra una pizzetta e un bicchiere di vino.Ha inizio l’atteso incontro con Elena Granata, Professore Associato di Urbanistica al Politecnico di Milano. È venuta per presentare “Biodivercity. Città aperte, creative e sostenibili che cambiano il mondo” uno dei suoi ultimi libri, dedicato alla tematica della città. Entriamo subito nel vivo del discorso; gli argomenti toccati sono tanti e molto attuali. Quello ambientale è certamente un tema caldo. Non c’è giorno in cui i giornali non mettano al centro il riscaldamento globale, lo scioglimento dei ghiacciai, le manifestazioni promosse dai giovani, non ultimo quanto è in corso a Venezia.Fin da subito l’autrice ci spiega che il testo è nato dall’esigenza di affrontare la tematica ambientale con una prospettiva nuova: non tanto focalizzata sulla problematica, ma sulle strategie di risoluzione del problema. È il caso della High Line newyorkese, una ferrovia nata con lo scopo di trasportare merci da una parte all’altra di Manhattan. Dismessa a partire dal 1980, era destinata ad essere demolita, se due giovani dalla mente creativa, Robert Hammond e Joshua David non avessero pensato ad un uso diverso. Oggi la High Line è un parco sopraelevato all’interno di Manhattan ed una delle principali attrazioni di New York. David e Hammond sono riusciti a guardare oltre, lì dove tutti vedevano solo una struttura fatiscente.Ecco che allora si definisce il genio contemporaneo: colui che cambia il presente reinterpretando il passato. Lo caratterizza un pensiero creativo, divergente, in grado di guardare il problema da un’altra prospettiva e proporre una soluzione che rispetti il contesto e l’ambiente. Un caso simile è quello accaduto in Cile, dove nel 2010 si sono abbattuti un forte terremoto e uno tsunami. Alejandro Aravena, chiamato nella città di Costitution per ricostruire il paese e proteggerlo da futuri tsunami, aveva davanti due possibili soluzioni: la costruzione di un imponente muro sulla costa, oppure il divieto all’abitabilità dei piani terra, mettendo i cittadini forzatamente in sicurezza. Avena, dopo aver dialogato con le persone del luogo, pensò ad una terza alternativa: prevedere tra la città e il mare una foresta che fungesse da protezione. Questi esempi ci insegnano che, forse, l’unica strategia per ottenere i risultati sperati è rispondere alla natura con la natura.

Ma come portare le persone ad atteggiamenti virtuosi? 

Come tutti possiamo riscontrare nel presente, infatti, la costrizione ad una norma non ha portato gli effetti sperati. In alcuni casi, allora, è stata provata la strada della dimensione irrazionale ed istintiva, spingendo il soggetto ad un determinato comportamento grazie alla sua sfera emotiva.È il caso di Mockus, sindaco di Bogotà, il quale, per ovviare ai frequenti incidenti, distribuì ai cittadini cartoncini con il pollice verde da una parte e quello rosso dall’altra. Questi strumenti sarebbero serviti ai guidatori per segnalare atteggiamenti corretti o scorretti.È importante quindi che per ottenere una vasta sensibilizzazione sul tema ambientale oggi venga fatto un utilizzo intelligente della parte più emotiva di noi.

Mokus era convinto che si potesse arginare la maleducazione di molti comportamenti nel traffico con la sola azione disarmata di un gruppo di ragazzi-mimi: il volto e le mani bianche, una tuta e la sola forza della loro postura fisica.Elena Granata, "Biodivecity. Città aperte, creative, sostenibili che cambiano il mondo" (pp. 36-37), Giunti 2019

Perché non prevedere, tra la città e il mare, una foresta che anziché resistere alla forza della natura provi a dissiparla producendo un attrito diffuso? Una foresta in grado di allagarsi e trattenere l’acqua in eccesso, facendo da morbida cintura di protezione al centro abitato?
Elena Granata, "Biodivecity. Città aperte, creative, sostenibili che cambiano il mondo" (p. 56), Giunti 2019

Usciamo dalla sala: il freddo è ancora tutto lì ma negli occhi dei presenti c’è uno sguardo vivo e lucido, caratterizzato da nuova consapevolezza: la biodiversità è la chiave per rendere il Pianeta un po’ migliore. Cosa ci ha lasciato questo appuntamento? Lo abbiamo chiesto direttamente ad alcuni dei partecipanti…

“Ho trovato conferma che la diversità non è un problema, ma può essere l’inizio di una soluzione ai problemi. È stato un forte stimolo a non guardare le cose sempre dallo stesso lato”. 55 anni, dirigente scolastico

“Mi ha colpito la possibilità del lavoro interdisciplinare. Sin da piccoli sentiamo parlare di quanto il mondo stia cambiando (dalla politica all’ecosistema) e che il lavoro che intraprenderemo probabilmente non coinciderà strettamente nostri studi universitari. Di per sé tutto il discorso della prof.ssa ha contribuito a farmi cambiare opinione, perchè mi sono sentito coinvolto e chiamato in causa”. 19 anni, studente di economia e management

Mi sono proposto di non fermarmi alla prima soluzione che mi viene in mente, ma di valutare con maggiore flessibilità le diverse possibilità”.22 anni, studente di ingegneria aerospaziale

“Esco da questa serata culturale con la consapevolezza che il problema è urgente e mi/ci chiede una presa di coscienza personale/collettiva. Ho compreso meglio il significato del sinodo sull’ Amazzonia”. 73 anni, sacerdote

“L’esempio di Bogotà mi ha fatto comprendere come si può arrivare con strumenti morbidi, ma non per questo meno efficaci, a sensibilizzare le persone rispetto ad una problematica”.21 anni, studente di giurisprudenza

“Mi ha colpito la meravigliosa potenzialità dell’umano di rispondere alle criticità del proprio tempo con creatività. Mi ha colpito, inoltre, la possibilità e necessità di affrontare le questioni sociali attraverso un approccio irrazionale ed emozionali”.35 anni, fisioterapista

“Un concetto che mi ha fatto riflettere molto é quello del “rispondere alla natura con la natura” e la nuova prospettiva del non concepire le costruzioni umane come una difesa dalla natura ma, al contrario, pensare nuove idee per collaborare con questa. L’incontro mi aiutato a percepire la possibilità della concretizzazione degli ideali che già condividevo!” 18 anni, studentessa di economia per l’arte, la cultura e la comunicazione

“Più che farmi un’idea mi ha dato speranza sapere che all’interno di un élite di docenti universitari vi sono persone non fossilizzate solo sulle conoscenze, ma aperte alle idee che arrivano dal di fuori. È il primo incontro sui cambiamenti climatici da cui mi sono sentito arricchito e non demotivato”. 30 anni, operaio non specializzato

Condividi il post