Amazon o le cooperative di comunità: chi genera oggi lavoro nei territori?
Amazon o le cooperative di comunità: chi genera oggi lavoro nei territori?
Il lavoro e la città sono intrinsecamente legati.
Una città si fonda sul lavoro (il negotium, le attività legate al fare) e sull’effimero (l’otium, le attività legate al non fare). Quanto otium e negotium siano cruciali nella salute e nella vita di una città lo cogliamo quando i sistemi urbani vanno in crisi.
Quando un sistema economico collassa anche la città muore. Vanno in crisi i servizi, l’abitare, i sistemi pubblici. Ci sono esempi molto evidenti di questo collasso: una crisi che dal piano economico si allarga a quello sociale e ambientale.
Pensiamo alla città di Detroit, città d’elezione della Ford e di un sistema economico fondato sulla fabbrica, la cui forma urbana era stata pensata per ottimizzare la produzione industriale. Il ciclo produttivo dentro la fabbrica coincideva con l’organizzazione anche dei tempi e dei luoghi fuori dalla fabbrica. Un meccanismo perfetto che con la crisi industriale prima, quella finanziaria e immobiliare poi, ha mandato in crisi l’intero sistema urbano.
Nella nostra storia recente, dal dopoguerra, anche il nostro Paese ha conosciuto e sperimentato una serie di modelli di relazione tra città e lavoro. Ciascuno dei quali ha costituito anche un modello di sviluppo. La città fabbrica – i distretti – produzione edilizia e rendita.
Il lavoro scompare dalla scena urbana
Le città raccontano poco dei lavori che le tengono vive, spesso i lavori sono nascosti, il lavoro è immateriale. E’ il lavoro precario e sottopagato (l’Italia dei lavoretti, gig economy, Foodora, Uber) che fa di milioni di persone dettagli invisibili di un enorme ingranaggio di lavoro (pensiamo ad Amazon, al cibo a domicilio, alla telefonia). Sharing economy: sentimenti, condivisione, non sono ataviche forme di sopravvivenza nella disperazione?
A questa invisibilità si risponde spesso con dei palliativi, pensiamo al fenomeno del coworking, che è molto diffuso in città e ha come primo scopo quello di fare superare costi ma soprattutto solitudine e isolamento.
Non c’è più narrazione sul lavoro: non parlano i luoghi, non parlano le storie delle persone, non parlano le attività. E le nuove generazioni dove imparano la cultura del lavoro? Città delle reti e del terziario avanzato è la città che non mette più in scena il lavoro, tanto è vero che cerchiamo di riprodurlo in vitro come l’operazione Fico di Farinetti. I ragazzi non conoscono il lavoro e vanno a vederlo (stalle, cascine, fabbriche) e non li si conosce perché sono completamente nuovi.
Le risposte possibili sono di due tipi:
O si accetta il modello dello scambio asimmetrico (centri commerciali, multinazionali, logistica), che nasce dall’alto e da un attore predominante.
Quando il territorio diventa solo una piattaforma da sfruttare la localizzazione diventa un atto di arbitrio: pensate alla delocalizzazione delle aziende italiane all’estero, all’est, con il doppio effetto di lasciare scoperti e in crisi interi territori o comparti aziendali, andando a sfruttare comunità e territori con ancora meno diritti.
Esistono anche casi virtuosi, come modello Bilbao, di Frank Gehry, fondato su localizzazione di grandi funzioni attivatori di economie: università, centri di ricerca, musei, Modello Bilbao. O il Prosciuttificio di Preci.
Questioni aperte:
Cosa può fare la città intesa come amministrazione, come polis, come comunità civile?
Come attirare capitali, grandi funzioni esogene?
Come fa una piccola amministrazione a esercitare potere su imprese multinazionali?
Oggi è evidente che la politica possa poco rispetto all’economico, le grandi compagnie riescono persino a non pagare le tasse agli stati che li ospitano.
Ma qualche leva ce l’hanno: si tratta di immaginare un nuovo patto tra politica e società civile.
O si coltiva il modello della biodiversità che nasce dal basso e da molti attori.
(imprese di comunità – corridoi ecologici e territoriali – cibo e e turismo – forme della nuova agricoltura). Qui si profila un ruolo diverso per le amministrazioni locali, come catalizzatori, attivatori, generatori di opportunità, sugli spazi, le risorse – es. meccanismi premiali dentro i piani di governo del territorio, attivatore di processi di recupero di manufatti, la gestione della rete).