La rigenerazione urbana sarà minuta, parola di Elena Granata - thebrief.city

Mi ha fatto molto piacere sapere della nomina di Lesley Lokko a curatrice della Biennale di Architettura di Venezia, per tre motivi. Il primo è che è una donna di un’identità multiculturale, metà africana metà anglosassone. La seconda buona notizia è che è una donna ed è un’architetta: una rivoluzione nel mondo dell’architettura almeno dai tempi di Zaha Hadid. La terza che è una scrittrice di narrativa e a me questo piace molto, perché penso che oggi l’architettura, l’urbanistica, la storia di luoghi e città vadano raccontate in modo sempre più narrativo. C’è un pubblico molto curioso e interessato, non disciplinare, a cui possiamo arrivare con un linguaggio non immaginativo». Elena Granata, architetta, docente di Urbanistica al Politecnico di Milano, anche lei scrittrice, commenta così la recente nomina di Lesley Lokko alla guida della Biennale 2023. Autrice di numerosi volumi, tra i quali Biodivercity, uscito per la collana Terrafutura di Giunti Editore con Slow Food, e il recentissimo Placemaker, pubblicato da Einaudi, la Granata è un’architetta ‘sui generis’, attenta ad un’architettura ‘piccola’, lontana dai grandi sviluppi immobiliari che sempre più sono diventati la cifra – come alcuni la definirebbero – della sua città, Milano. Ed è proprio sulla piccola scala, sul racconto di centri urbani come ecosistemi, che i suoi libri si focalizzano, dando spazio a storie di architetti visionari, urbanisti, ma anche designer, sindaci, imprenditori, psicologi, fino ai sacerdoti, ‘ribelli’ o placemaker – come li definisce nell’omonimo saggio – che contribuiscono attivamente alla costruzione di città più a misura d’uomo. Figure ibride, che mettono in crisi il ruolo tradizionale dell’architetto. E a proposito della condizione letteraria dell’architettura, la Granata aggiunge «gli architetti hanno scritto poco, gli urbanisti ancor meno, se non i grandi, come Giancarlo De Carlo per fare un esempio. C’è pochissima tradizione. I miei libri non sono illustrati ma raccontati, perché ritengo che il valore comunicativo delle belle storie, storie di spazi, luoghi e persone, abbia un pubblico più ampio di quello a cui fino ad ora siamo arrivati. Abbiamo un mondo curiosissimo delle questioni che riguardano la casa, l’abitare lo spazio, la città, ma non c’è produzione letteraria. Questa è una delle ragioni per cui, penso, gli architetti sono sempre meno attori capaci di creare immaginari nelle persone, proprio perché non raccontano»._________Articolo completo su: thebrief.cityDi Chiara Brivio

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