Alla natura si risponde con la natura. Alle alluvioni e alle piogge torrenziali alternate a periodi di siccità – tra gli effetti più concreti dei cambiamenti climatici – si replica con alberi, tetti verdi, aiuole, parchi, stagni o laghi, ma anche con strade sterrate, sabbia e altre superfici permeabili in grado di assorbire velocemente l’acqua e di rallentare il deflusso superficiale. La sfida urbanistica del futuro – ma anche del presente – consiste nel rendere le città più spugnose (le città-spugna, o sponge cities in inglese), porose, capaci di reagire agli eventi climatici estremi e di utilizzare con lungimiranza le risorse idriche a disposizione. Soluzioni simili sono state applicate per la prima volta in Cina, un Paese particolarmente colpito dalle alluvioni e – al tempo stesso – da una carenza d’acqua dovuta al fatto che la maggioranza delle risorse idriche è concentrata a nord. Soluzioni a basso costo e con effetti immediati
. Yu Kongjian, professore di architettura del paesaggio all’Università di Pechino, ha ideato il concetto di città-spugna partendo da un’esperienza traumatica della sua infanzia. A 10 anni, un’alluvione lo trascinò violentemente dentro le acque fuori controllo di un torrente. Inaspettatamente, in un punto ricco di salici, canneti e altre piante, il flusso del fiume in piena rallentò e il piccolo Yu Kongjian riuscì a trarsi in salvo aggrappandosi alla vegetazione: «Sono sicuro che se il fiume fosse stato come quelli di oggi, levigati con strati di cemento, sarei annegato. Perché non puoi vincere contro l’acqua: devi lasciarla proseguire», ha raccontato l’esperto di design urbano alla Bbc. Il concetto alla base della città-spugna è proprio questo: passare da un centro urbano impermeabile – ricoperto di colate d’asfalto e cemento – a una città con superfici porose posizionate nei cosiddetti “flooding hotspots”, dove è più probabile che l’acqua si accumuli in caso di tempeste particolarmente violente. Al cambiamento climatico si risponde con soluzioni “nature based”, spesso a basso costo e applicabili anche in corso d’opera: non per forza in fase di pianificazione. Elena Granata, docente di urbanistica al Politecnico di Milano, ci spiega infatti che una città-spugna «si può ottenere a buon mercato togliendo l’asfalto dalle strade, tramite quel processo che viene chiamato depavimentazione. Consiste nell’idea che basta lasciare suolo libero e terra battuta, senza avere effetti impermeabilizzanti, per far respirare la città: così il suolo torna a fare il suo mestiere. Meglio un parcheggio a sterro che un parcheggio ad asfalto. Meglio togliere l’asfalto dalle strade secondarie piuttosto che lasciarlo. La depavimentazione è semplice e alla portata di tutte le amministrazioni, con effetti immediati». In Italia siamo ancora lontani dal rendere le nostre città spugnose e a prova di alluvioni, nonostante le continue avvisaglie provenienti da una natura imprevedibile. «Se in Cina vanno le città spugna, da noi vanno le città impermeabili: in Italia abbiamo impermeabilizzato i suoli in maniera sistematica. Ad esempio, non abbiamo strade che sono lasciate a sterro, come invece succede a Parigi. L’asfalto e il cemento impediscono la porosità e la spugnosità delle nostre città. La città impermeabile, che ai tempi ci sembrava più sicura, più pulita e più asettica, oggi diventa pericolosa perché non assorbe le piogge», aggiunge la professoressa Granata._____L'articolo completo di Fabrizio Fasanella su: linkiesta.it

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