Muoversi nella città del futuro. Esiste una ricetta perfetta?
Muoversi nella città del futuro. Esiste una ricetta perfetta?
Un grande fermento attraversa le città e la mobilità urbana sul finire di questo decennio. La battuta è banale: “tutti sono elettrizzati” dalle crescenti (ed entusiastiche) aspettative verso la propulsione elettrica, vista in molti casi come una radicale soluzione ai problemi di inquinamento, sia atmosferico sia acustico, di cui il settore dei trasporti (soprattutto privati) è uno dei principali responsabili in ambito urbano. In questi giorni autunnali, costellati di frequenti superamenti dei valori limite per PM10 e PM2,5 non c’è dubbio che l’immagine di un futuro con soli mezzi elettrici sia accattivante e rassicurante. Molte città europee hanno dichiarato guerra ai motori termici, a cominciare dai diesel, e pianificano progressivi divieti per i prossimi decenni. Altrettante città incentivano la diffusione dell’elettrico (talvolta anche dell’ibrido) con sconti sulla sosta e permessi di accesso alle ZTL. Tutto questo ha pienamente senso nell’attuale fase di transizione storica tra i motori tradizionali e le nuove tecnologie. Tuttavia ritengo necessaria una riflessione più approfondita che possa inserire le aspettative più immediate in una prospettiva generale che consideri il sistema della mobilità nel suo complesso, come parte consistente delle politiche ambientali e più ancora delle politiche urbane nel loro insieme. Non domandiamoci che impatto avranno sulle città i veicoli elettrici, ma chiediamoci quale città vogliamo per il futuro, sapendo che i veicoli elettrici saranno uno strumento tra i tanti disponibili.
Ecologia condizionata
Alcuni spunti critici possono meglio illustrare questa prospettiva. I veicoli elettrici sono certamente più ecologici di quelli termici nella misura in cui non emettono sostanze inquinanti “a valle” muovendosi in città. Ovviamente i mezzi elettrici sono tanto meno inquinanti quanto più l’energia elettrica che li ricarica “a monte” è prodotta con fonti rinnovabili o a basso impatto. E’ del tutto evidente che se le politiche energetiche nazionali mantengono una dipendenza da fonti fossili il problema più complessivo dell’inquinamento atmosferico è solo spostato su altri livelli, ma non risolto (si pensi al caso degli Stati Uniti e alla paventata “rinascita” del carbone). Inoltre i mezzi di trasporto producono emissioni anche in relazione all’usura dei pneumatici e di altri componenti. Infine vi è la questione dello smaltimento delle batterie, un tema molto presente negli anni passati, sul quale si sono registrati importanti progressi. E’ dunque ormai chiaro da tempo che si debba valutare l’impronta ecologica complessiva dei mezzi elettrici, dalla produzione al funzionamento, passando dall’approvvigionamento energetico e terminando con lo smaltimento finale. In questa direzione i progressi sono promettenti e circolano analisi che stimano gia oggi l’impatto delle auto elettriche inferiore del 50% rispetto ai mezzi tradizionali.
Lo spazio urbano
Mi interessa però maggiormente un’altra linea di riflessione, più legata all’idea di città. La mobilità urbana dal secondo dopoguerra in poi si è sostanzialmente declinata sul rapporto tra mobilità privata e mobilità pubblica. Questo processo ha guidato l’articolazione fisica dell’ambiente urbano: strade, parcheggi, binari, tunnel, ecc. A questo dualismo si è sovrapposta la mobilità “sostenibile”, capace di produrre nuove aree pedonali e ciclabili. La mobilità privata a motore è quella che ha condizionato maggiormente la morfologia cittadina, essendo la più dispendiosa in termini di spazio a parità di persone che si spostano. Ebbene, la mobilità elettrica, se intesa come semplice evoluzione tecnologica del modello “tradizionale” di mobilità privata, porterà benefici ambientali, ma non sarà una rivoluzione per la città nel suo complesso ed in particolare per la sua dimensione spaziale. Avremo comunque ampi spazi pubblici dedicati alla sosta di vetture private, avremo strade congestionate, code, incidenti, avremo migliaia di autovetture spesso con il solo guidatore a bordo che affollano le nostre vie. Vetture elettriche, dunque, altrettanto ingombranti.
L'economia della condivisione
Negli ultimi anni la tradizionale distinzione tra mobilità privata e mobilità pubblica è stata incrinata dall’affermarsi di modelli innovativi, basati in generale sul concetto di “condivisione”. Pooling e sharing sono termini entrati nel vocabolario quotidiano. La carica innovativa di questi modelli sta nell’offerta di mezzi di trasporto a disposizione di tutti, facili da usare e facili da reperire, e sta nello scardinamento del concetto di proprietà tradizionale, essendo tali mezzi “individuali” nel momento dell’utilizzo, ma “collettivi” nel senso del possesso. Queste sono promettenti innovazioni che possono realmente modificare le nostre città nel futuro prossimo poiché attraverso la tecnologia agiscono sui modelli comportamentali. Per essere più espliciti: più auto condivise implicano meno auto in generale, con la possibilità di rivedere gli spazi pubblici della città, immaginando una riduzione degli spazi di sosta a beneficio di aree pedonali, piste ciclabili e verde urbano. I modelli di pooling e sharing, collocandosi a metà tra la mobilità pubblica e quella privata, permettono anche di sopperire alle difficoltà del trasporto pubblico propriamente detto, fondamentale e tutto sommato efficiente nelle aree urbane, ma al contrario di difficile gestione e finanziamento per i territori più periferici, soprattutto in un paese come l’Italia. Non dimentichiamoci che il diritto alla mobilità è anche una questione sociale e non è pensabile che l’acquisto di un autovettura sia una risposta per ogni classe sociale, oggi come in futuro. Certamente, se i veicoli in condivisione saranno anche elettrici si otterrà un beneficio maggiorato.
Un rischio politico
Vi è inoltre un rischio sotteso alla diffusione dell’auto elettriche che vale la pena di esplicitare, onde poterlo prevenire. Oggi parte dell’opinione pubblica favorevole alle istanze di miglioramento della qualità delle nostre città mescola, sovente in modo indistinto, la sensibilità ambientale a quella più generale che domanda città a misura d’uomo. In buona sostanza, i timori per i danni causati dall’inquinamento spingono molti cittadini a richiedere limitazioni al trasporto privato e agli spazi ad esso dedicato, per favorire marciapiedi, piste ciclabili e aree verdi. In linea teorica, la pur positiva diffusione di auto non inquinanti potrebbe indebolire il movimento di opinione che si prefigge il ripensamento delle città dal punto di vista spaziale. “Svanita la paura per i danni alla salute, perché porre limite alle autovetture private?”; questo potrebbe essere il quesito in un prossimo futuro. C’è il rischio di trascurare le diverse sfaccettature precedentemente elencate. Qualche segnale in tal senso già lo si coglie nella convinzione quasi granitica che esprimono alcuni produttori e alcuni possessori di auto elettriche in merito al diritto di poter accedere alle ZTL e alle aree a traffico limitato.
Una ricetta complessa
Dunque, è importante comprendere come la ricetta per la città del futuro debba mantenere il trasporto pubblico e la mobilità sostenibile come cardini e debba aggiungere il tema della condivisione come occasione di ripensamento generale delle abitudini dei cittadini, lasciando il tema dell’elettrico come un “di cui” tecnologico molto importante, ma non centrale.
Vorrei concludere con un’ultima riflessione in merito alla fase di transizione che stiamo vivendo. In questi anni si sono susseguiti bandi e finanziamenti pubblici per la realizzazione di infrastrutture di ricarica per veicoli elettrici. La motivazione che soggiace alla scelta di spendere denaro pubblico in questa direzione è chiara e comprensibile: senza infrastrutture di ricarica il mercato dei veicoli elettrici non decolla. La parola chiave rimane però, per l’appunto, “mercato”. Immagino che nel momento in cui i veicoli elettrici saranno la maggioranza debba essere il mercato a dare le risposte al tema delle infrastrutture di ricarica, esattamente come oggi i benzinai rispondono alle domanda di carburante. Oggi stiamo realizzando con risorse pubbliche infrastrutture a beneficio di mezzi privati. Non è difficile scorgere l’interesse e la spinta delle aziende del settore. La scelta è comprensibile, soprattutto se collocata nell’attualità, ma non in senso assoluto, non sine die, ed è lecito discutere progressivamente dell’ammontare di queste risorse, soprattutto se stanziate in alternativa ad altri capitoli di spesa, quali la realizzazione di percorsi ciclabili o il rinnovo dei mezzi pubblici o altro ancora. Anche su questo tema, per quanto giustamente elettrizzati dalla “scossa” di questa rivoluzione tecnologica, non dimenticherei di mantenere la celeberrima “messa a terra”.