Censimento di un’Italia che scompare

Borghi abbandonati: censimento di un'Italia che scompare

I borghi abbandonati non sono, infatti, nel nostro Paese delle eccezioni territoriali ma sono una realtà diffusa su tutto il territorio nazionale, che merita attenzione. L’Italia vanta numerosissimi primati, molti positivi, altri negativi, ma fra questi c’è quello di avere il più elevato rapporto fra paesi abbandonati e quelli abitati.

Secondo Legambiente, come emerge dal convegno “Paesi Fantasma. Territori nascosti dell’Italia minore” del 23/6/2005, esistono circa 5.308 piccoli centri a rischio di abbandono. «Il 72% degli oltre 8.000 comuni italiani conta meno di 5.000 abitanti. Un’Italia dove vivono 10 milioni e mezzo di cittadini e che rappresenta oltre il 55% del territorio nazionale, fatto di zone di pregio naturalistico, parchi e aree protette. Questi 5.835 piccoli centri non solo svolgono un’opera insostituibile di presidio e cura del territorio, ma sono portatori di cultura, saperi e tradizioni, oltre che fucine di sperimentazione e fattori di coesione sociale. Una costellazione solo apparentemente minore, che brilla per la straordinaria varietà ambientale e per l’inestimabile patrimonio artistico custodito. Ricchezze ad oggi poco note e perciò da valorizzare».

Di questi 5383 piccoli centri a rischio, 2381 comuni sono già in avanzato stato di abbandono e i rimanenti sono già completamente spopolati. Questi ultimi, precisamente, saranno l’oggetto principale della ricerca. Capire quanti sono, quali sono, dove sono, in che stato si trovano e, dove possibile, il loro motivo e anno di abbandono. Spesso questi borghi, piccoli, un gruppo di case che sorge intorno ad una piazza, solitamente “quella della chiesa”, “della fontana”, “del mercato” o del “palazzo comune”, posizionati in luoghi inaccessibili, difficilmente raggiungibili e distanti da principali vie di comunicazione, hanno come loro “habitat ideale” l’Appennino e le regioni dell’entroterra. Questi luoghi sono portavoce di identità locali di valore inestimabile ritrovatili all’interno del borgo stesso come testimonianza dello stile di vita, del modo di costruire, del modo di abitare e di relazionarsi con il paesaggio.

Quando sono stati abbandonati?Quali le cause dell’abbandono?

L’Italia a seguito del boom economico del secondo dopoguerra, ha conosciuto il momento di massimo abbandono dei borghi per spopolamento: è il grande esodo della popolazione che ha abbandonato il paese di origine alla ricerca di lavoro e benessere in città. Un fenomeno che coincide anche con l’abbandono dell’agricoltura a favore dell’industrializzazione. Nel decennio 1960-1969, sono 42 i borghi che hanno subito il fenomeno dello spopolamento senza ritorno allo stato originario. Nel decennio precedente ne erano stati abbandonati 23. L’abbandono per spopolamento è il fenomeno più frequente, che riguarda 70 casi su 150 (di 182) ovvero il 47%. Questo ha avvalorato ancora di più la tesi che la causa principale di abbandono sia lo spopolamento, visto che la metà dei borghi ha subito questo fenomeno.

Mentre il 34% dei borghi – 51 borghi su 150 – sono stati abbandonati per cause legate ad eventi naturali, terremoti, alluvioni, smottamenti. Gli altri 9% (14) – sono stati abbandonati per vari motivi, dalla mancanza di sviluppo di tecnologie per l’approvvigionamento idrico alla chiusura della struttura penitenziaria o della miniera che consentiva la vita di una piccola comunità.

Il 5% dei borghi (8) sono stati abbandonati per eventi bellici, in particolare durante il secondo conflitto mondiale o per eventi antropici (7): tutti borghi abbandonati per colpa dell’azione dell’uomo dalla creazione di bacini artificiali, alle infrastrutture, senza dimenticare gli eventi antropici che danneggiando la natura e l’ecosistema ha creato catastrofi naturali come il disastro del Vajont del 9 Ottobre 1963.

Per quanto concerne lo stato di conservazione dei borghi ho stilato una classifica sulla base della consunzione e obsolescenza dei materiali architettonici. Dalla mia analisi risulta che: 74 borghi sono stati classificati come discretamente conservati; 32 sono ormai ridotti a rovine; 25 sono tra discretamente conservato e rovine; 22 sono fortunatamente ancora intatti; 15 sono stati restaurati o sono in fase di restauro; 8 sono tra intatto e discretamente conservato; mentre 5 sono i borghi che versano in altre condizioni: sommersi, in abbattimento, distrutti o trasformati in opere d’arte.

Attualmente 136 borghi sono completamente abbandonati mentre 46 no. Il fatto che non siano abbandonati non vuol dire che è stato fatto un errore nel riportare la situazione attuale di questi borghi ma semplicemente sono stati riportati per correttezza dei fatti in quanto è impossibile invertire la rotta che li porterà allo spopolamento, ad ogni modo, si parla di uno o pochi più abitanti e perlopiù in avanzato stato d’età, non in grado di garantire un ricambio generazionale utile a ripopolare il borgo.

La regione italiana che detiene il primato per la presenza di borghi abbandonati è la Toscana con ben 19 borghi; al secondo posto il Piemonte con 17; al terzo posto, a pari merito, Liguria e Sardegna con 16 borghi. Il dato interessante è che tutte le regioni hanno almeno un borgo abbandonato, nessuna è esclusa.
Questa parte evidenzia in modo chiaro quando detto prima: l’habitat ideale dei borghi abbandonati è di certo l’Appennino. Al contrario, le Alpi, sviluppando una loro forte economia di valico, non hanno subito il fenomeno dello spopolamento o se si sono verificati casi, sicuramente, non sono stati così marcati e incisivi come è avvenuto sugli Appennini. Regioni come la Valle d’Aosta con un solo borgo abbandonato, il Trentino Alto Adige con due soli borghi abbandonati, il Veneto con tre e il Friuli Venezia Giulia con cinque, ne sono la valida testimonianza.

Abbandono: una strada senza ritorno?

Lo spopolamento, oggi, deve essere inteso non solo come mero abbandono dei territori marginali, ma come una carenza di risorse e limite ai processi di qualificazione e sostenibilità territoriale. Ecco la chiave di tutto. Ecco perché bisogna interessarsi di riattivare i borghi abbandonati come entità territoriali fulcro di tradizioni e testimonianze dal forte valore umano e sociale. Nella nostra epoca di tecnologie avanzate e di globalizzazione, dedicarsi alle tradizioni di un territorio può sembrare una scelta strana, e magari perdente. Interessarsi della tradizione non significa rifiutare la modernità, ponendola in contrasto con la presunta purezza dell’antico, bensì conoscere ricchezze e saggezze per capire il significato del territorio che lo caratterizza e trovare forme sane ed equilibrate con le quali pensare l’oggi e il domani. E l’unico modo per preservare questo tipo di conoscenza trova risposta nella conservazione delle tradizioni. La brusca trasformazione del modo di vivere che impone di ricominciare una nuova vita, trova più difficoltà nel cercare elementi di appartenenza con il “nuovo” territorio che nel proprio “vecchio” paese di origine, con il rischio, di dimenticare e spezzare la continuità nel tramandare usanze e tradizioni. storie che ci raccontano di un futuro possibile per luoghi ad alto contenuto di storia e di patrimonio culturale. Fa parte del nostro istinto legarci a qualcosa di familiare, e possibilmente di solido e duraturo, come un panorama collinare o a un gruppo di vecchie case, basta che possiamo associarlo al nostro passato. Per questo un territorio i cui paesaggi e le cui usanze risalgono molto indietro nel tempo è una grande ricchezza che vale la pena di apprezzare e di conoscere e tutelare anche contenendo lo spopolamento ed evitando l’abbandono dello stesso.

[dalla tesi di laurea di Daniele Benedini – relatrice Elena Granata]

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Daniele Benedini

Nato a Milano nel 1991, diplomato Geometra, laurea triennale in Urbanistica e magistrale in Management of Built Environment al Politecnico di Milano, musicista, fan e collezionista di memorabilia dei The Beatles. Da sempre appassionato di paesaggi tipici e luoghi fermi nel tempo, in particolare, dei borghi abbandonati con l’obbiettivo di censire tutti quelli presenti sul territorio italiano.

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